Il femminismo attraverso la Street Art

É paradossale nel 2019, nel ventunesimo secolo, laddove si professa evoluzione e democrazia, laddove le scoperte scientifiche ci portano direttamente nel futuro, parlare ancora di femminismo come di altri temi che dovrebbero essere superati da tempo. Eppure bisogna parlarne e come, il silenzio non è d’aiuto. Ad aiutare l’affermazione per i diritti, a fare da megafono a temi importanti, c’è la Street Art ed alcuni artisti pronti a metterci la faccia, diffondendo cultura e coscienza.

L’arte in tutti i campi può essere un megafono importante, ancora di più se esposta su grandi facciate e grandi muri. A tal proposito nel 2017 il premio Oscar Spike Lee ha realizzato una serie televisiva, basata sul film del 1986 Lola Darling, disponibile su Netflix: She’s Gotta Have It.
La serie, ambientata ai giorni nostri nel quartiere a Brooklyn, racconta la storia di una donna e dei suoi tre amanti. Vita di quartiere dalla quale emergono i temi dell’emancipazione femminile e del libero pensiero, della parità dei diritti e della tendenza maschile a considerare le donne come oggetti. La protagonista della serie, non a caso, dopo essere stata importunata una sera, scegli di scendere in strada con dei poster e farsi sentire.

Quanto narrato da  da Spike Lee non è solo fiction, anzi è reale ed un’esempio è MissMe. Quest’ultima è un’artista, un’attivista e femminista canadese. La sua arte è esplicita ed aggressiva, lei stessa si presenta col volto coperto da un passamontagna con le orecchie da Minnie. Le opere impertinenti di Miss Me attirano l’attenzione con toni acuti, anche per i temi da lei trattati che non trascurano di porre l’accento sulle contraddizioni sociali inerenti il genere, la razza e le classi sociali di appartenenza, argomenti a lei particolarmente cari. Esempio importante dell’arte di MissMe sono le sue Vandals, poster pronti a denunciare le difficoltà della visione di sé stessi nella società, affisse anche nella città di Bologna.

Come racconta marieclaire.com la stessa artista è stata, nel 2014, vittima di violenza sessuale: «Ho provato vergogna, profonda e radicata in me. E ancora una volta ho cercato dentro di me la responsabilità, la colpa di ciò che era successo. Mi ricordo di essermi svegliata il mattino dopo come se non fossi nessuno, come se nulla di me mi fosse familiare, nemmeno i miei pensieri. Ero completamente vuota. Non riconoscevo la mia immagine, era una cosa fantascientifica. Eppure, allo stesso tempo, non ero mai stata così consapevole, così presente a me stessa. Ero stata fatta talmente a pezzi che di me era rimasto solo il midollo». Trauma però che le ha dato la forza di ricominciare e di esprimersi attraverso l’arte: «E da lì ho pensato “ma vaffanculo” sono ancora viva, quindi vaffanculo. Perché questo è il reale pericolo della vergogna, è una forza paralizzante, di autonegazione. Così ho deciso di trasformare la vergogna in rabbia e la rabbia in cambiamento».’’

Ad un’arte più violenta si contrappongono vari omaggi e ritratti a grandi figure femminili; opere realizzate da donne come da uomini, perchè il femminismo è una questione universale!

Esempi di questi omaggi li possiamo trovare a Napoli, per restringere il cerchio. Opere come Ipazia di MP5, il ritratto di Jorit ad Angela DavisRigoberta Menchu e Wangari Muta Maathai di Raro e Biodpi oppure A Mamm e tutt’e mamm di La Fille Bertha.

Troviamo Ipazia nel quartiere Montecalvario a Napoli all’ingresso del l’ex Palazzetto Urban, struttura storicamente dedicata all’empowerment al sostegno delle donne, sede del Centro Documentazione Condizione Donna, dove tra biblioteca e archivio di genere è custodito un immenso patrimonio di conoscenza e cultura, così come è prezioso il ruolo svolto dal Centro Antiviolenza. Una location perfetta per l’opera, che acquista così ancora più valore ed importanza. Fattore location da individuare anche in La Fille Bertha. Quest’ultima la troviamo nel Parco dei Murales di Ponticelli con una rivisitazione della “Madonna della Misericordia” di Piero Della Francesca. Questa grande facciata vuole rappresentare la maternità come un dono luogo in cui è percepita più come ostacolo, incidente o trauma che come dono, valore o scelta; frequente, è infatti, l’alto tasso di madri adolescenti.

Le altre opere sopra citate sono un grande omaggio a grandi figure da parte di artisti uomini, si tratta di tre grandi rivoluzionarie: Angela Davis attivista del movimento afroamericano statunitense, Rigoberta Menchu  pacifista ed attivista per la tutela delle popolazioni indigene del Guatemala, e Wangari Muta Maathai biologa keniota che ha contribuito allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace; entrambe quest’ultime due premi Nobel.

Miss Me
Daniele Carrano
Daniele Carrano
Scrivo per il piacere di confrontarmi con gli altri. Co-fondatore di Escape Vision.

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