A Spike Lee Joint : l’importanza della cultura “Black” nella società americana

“Per comprendere appieno i film di Lee, non basta conoscere la storia e la tecnica del cinema. Serve anche possedere un notevole bagaglio di nozioni storiche, politiche, sociali e culturali americane e ancora di più afro-americane, dove quel trattino tra le due parole funge da trait d’union tra il contesto originario africano e quello bianco di matrice europea assimilato dai neri fatti schiavi e poi rielaborato in una nuova forma che, mantenendo vive credenze, usi e saperi tradizionali, li ha combinati con quelli imposti dai padroni in una coscienziosa e orgogliosa manifestazione di un’identità “altra”, diventata con il tempo parte fondante della cultura statunitense e, di conseguenza, di quella occidentale.”

Lapo Grasleri critico e storico del cinema

Partendo da questo nozione di Lapo Grasleri possiamo comprendere meglio l’arte di Spike Lee, un regista di rottura che ha saputo portare sul grande schermo i problemi sociali, interrazziali della società americana, smascherando falsi miti e riaprendo questioni spesso dimenticate, per negligenza o per comodità. 

Spike nasce ad Atlanta nel 1957 , il suo vero nome è Shelton Jackson Lee, ma la madre lo soprannominò “Spike” per via del suo fisico piccolino e gracile, figlio di Bill Lee,  musicista Jazz che comporrà la musica di alcuni suoi film e Jacquelyn Carroll Shelton. La famiglia di Lee si trasferirà da Chicago a Brooklyn che diventerà presto lo scenario preferito dei film di Spike.

Nel 1975 lasciò la famiglia per andare a studiare al Morehouse college di Atlanta , tra i più prestigiosi college per lo studio della storia e della cultura afro-americana. È proprio qui che Spike probabilmente inizia a formare un bagaglio culturale e un’attenzione particolare verso la sua cultura d’origine che influenzerà tutta la sua arte cinematografica. 

Terminato il college Spike si iscrisse alla New York University Film School dove conobbe Martin Scorsese ed Ernest Dickerson , quest’ultimo diverrà il direttore alla fotografia dei suoi primi film, fino a Malcom X (1992), quando poi Lee inizierà a curare personalmente la fotografia delle sue opere.

Sarà proprio in università che avveranno i due eventi che cambieranno la vita di Spike , il primo come lui stesso affermò fu per merito di Stranger than Paradise di Jim Jarmush (1984) , grazie al quale si convinse che realizzare era davvero possibile. Il secondo episodio, ma non di certo secondario , fu nel 1982 al terzo anno di università quando Lee diresse il suo primo lungometraggio : “Joe’s Bed-Stuy Barbershop : We Cut Heads”, il quale divenne anche la sua tesi di laurea. Il “film” riscosse tanto successo e vinse lo Student Academy Award dell’Academy Motion Pictures Arts and Sciences Student, come miglior film realizzato da uno studente di cinema, e fu il primo film diretto da uno studente di cinema ad essere selezionato per la manifestazione New Directors/New Films del Moma di New York.

Il 6 Dicembre del 1984 Spike fondò la propria casa di produzione indipendente , la “Forty Acres and a Mule Filmworks”. È significativo la scelta di questo nome , la traduzione in italiano è :
“ Quaranta Acri (di terra) e un Mulo”, ovvero quanto fu promesso agli schiavi neri al termine della guerra civile, promessa che per la maggior parte degli afro-americani non fu mai mantenuta. 

40 Acres and a Mule Filmworks.

Già da questa scelta possiamo decodificare il carattere di Lee , così attento alla storia , alla propria cultura che è sempre viva e che contraddistinguerà tutte le sue opere.

Dua anni dopo la fondazione della propria casa cinematografica Spike esordisce con quello che sarà considerato il suo vero primo film: Lola Darling (1986)(disponibile su Netflix).

Il film parla di Lola , un’artista afroamericana che vive da sola a Brooklyn, la quale metterà in crisi la vita sentimentale di tre uomini. La pellicola è completamente girata in bianco e nero, tranne una scena. In quest’ultimo dettaglio, già dal primissimo lavoro di Lee, si può notare il suo approccio surreale alla realtà delle cose e al gusto “provocatorio” di raccontare le comunità afroamericane dalle quali proviene. Per Lola Darling, Spike oltre ad essere regista , fu anche produttore, montatore e attore, “Mars Blackmon” fu il personaggio interpretato da Lee, uno dei tre uomini coinvolti nella storia amorosa con la protagonista. Al film è ispirata la serie ” She’s Gotta Have It” , creata dallo stesso Spike Lee, disponibile su Netflix.

Spike Lee nei panni di “Mars Blackmon”

Da questo momento in poi seguirà una ricca e corposa carriera di produzioni cinematografiche e non solo, perché Lee sarà anche autore di varie pubblicità tra cui Nike, nella quale recita insieme a Micheal Jordan usando proprio il personaggio interpretato in Lola Darling: Mars Blackmon. La pubblicità divenne un manifesto soprattutto per la frase : “it’s gotta be da shoes” (deve essere per merito delle scarpe) con cui il regista cercava di far capire a Jordan che la sua bravura era merito soprattutto delle sneakers che indossava. Diresse inoltre video musicali per vari artisti tra cui Micheal Jackson, Public Enemy, Prince, Eros Ramazzotti ed altri.

Nel 1989 è la volta di Do the right thing (Fa la cosa giusta) il film che lo ha consacrato , il quale racchiude tutte le caratteristiche e il pensiero del cinema di Spike Lee. La trama narra di un gruppo di personaggi di differenti etnie che entrano poco a poco in collisione tra di loro , il film è ambientato a Brooklyn in una caldissima giornata estiva, come Spike racconterà in una puntata di Abstract x Ruth Carter (Netflix, stagione 2 episodio 3), che condizionerà gli abiti indossati dai personaggi. Per l’occasione vengono indossati pantaloncini, short di jeans, canottiere e sneakers. In tal senso Do the right Thing è considerato il film che da solo ha dato corpo alla moda Hip Hop. I colori scelti per gli abiti per lo più verde, giallo, rosso volevano richiamare alle bandiere delle tribù africane, per evidenziare la forte connessione tra gli abitanti del quartiere con le proprie radici di provienenza. 

Il cast composto oltre che dallo stesso Spike Lee il quale interpreta Mookie il personaggio che darà il via alla rivolta , troviamo Giancarlo Esposito nel ruolo di Buggin Out, John Turturro, Danny Aiello nel ruolo di Sal grazie al quale ottenne la nomination agli Oscar come “migliore attore non protagonista”, Rosie Perez, Samuel Jackson, Bill Nunn nel ruolo di Radio Raheem uno dei personaggi più amati del film, se non il più amato – celeberrima la sua interpretazione. 

Bill Nunn nel ruolo di Radio Raheem

Do the right thing è stato anche il film che lanciò la canzone Fight the Power dei Public Enemy, colonna sonora del film, che sentiamo in continuazione rimbombare dallo stereo di Radio Raheem.

Il regista per tutto il film conduce lo spettatore ad “aprire gli occhi” , scuoterlo dall’apatia cinematografica, affinché si ponga  le domande e cerchi  dentro di sé le risposte e la posizione da prendere (liberamente) nei confronti di un tema ancora oggi super attuale: l’integrazione.

Gli anni ’90 saranno un decennio ricco di produzioni per Lee, nasceranno film come Jungle Fever (La febbre della giungla, 1991) una storia d’amore tra un uomo d’affari di colore , interpretato da Wesley Snipes, e una ragazza italoamericana.

Spike sarà bravissimo ad evidenziare i conflitti interraziali tra le due comunità, da un punto di vista mai incondizionatamente schierato da una parte o dall’altra. Magistrale l’interpretazione di Samuel Jackson, nel ruolo di un tossico alla continua ricerca di soldi per i suoi comodi, il quale vinse il premio come migliore attore non protagonista al Festival di Cannes.

Samuel Jackson e Halle Barry sul set di “Jungle Fever”

Segue poi Malcom X (1992), la sua opera più complessa, il film che narra la vita del leader afroamericano, interpretato da Denzel Washington, il tutto sullo sfondo di un clima pittoresco e mitizzato, curato nei dettagli, con le scelte delle musiche, i zoo suit, che trasportano letteralmente lo spettatore verso un’epoca passata. Il film non mancherà di esprimere il dolore e la sofferenza dell’emarginazione razziale in modo puntuale e onesto. 

Denzel Washigton in “Malcom X” (1992)

In seguito Lee produrrà altri lavori come Crooklyn, Clockers, Girl 6, S.O.S Summer of Sam, 4 Little Girls, Bamboozled, fino ad arrivare alla 25ª ora, da molti considerato il momento più alto della sua carriera. Per questo film Spike “esce dal ghetto”, per raccontare la storia di un pusher, Monty (interpretato da un pazzesco Edward Norton), il quale ha solo ventiquattro ore per mettere la sua vita a posto prima finire in carcere per 7 anni. Uscito nelle sale nel 2002, è stato il primo film a mostrare il luogo dell’attentato dell’11 settembre 2001, Ground Zero, che mostra secondo Lapo Grasleri: “il dramma interiore che si fa metafora dell’America ferita, costretta a fare i conti con il proprio passato, stavolta necessariamente da rielaborare e non rimuovere.

L’immagine straziante di un Paese che troppo spesso ha guardato solo al proprio tornaconto secondo una logica conquistatrice e arruffona che per anni l’ha posto come unico portatore di libertà e giustizia, e che ora si trova smaccatamente sconfitto nei suoi ideali ed eroici modelli, qui mostrati in tutta la loro fragilità”

Epica la scena degli insulti del protagonista che, come in Do the right thing, Lee ripropone facendo sfogare questa volta Monty (E.Norton) prendendosela con chiunque.

Passerà un po di tempo prima di ritornare sul grande schermo dopo il successo di 25ª Ora, lo farà con She Hate Me, nel 2004 e con Inside Man nel 2006 (disponibile su Netflix). Dopo varie collaborazioni e alcuni “insuccessi”, uno anche in Italia con un lungometraggio Miracolo a Sant’Anna (2008) , e alcuni documentari come Kobe Doin’ Work tributo alla carriera a Kobe Bryant (2009) e Bad25 (2012) in ricorrenza per il venticinquesimo anno dall’uscita di Bad di Micheal Jackson, nel 2018 torna con BlacKkKlansman con il quale vince Il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes e sei candidature al premio Oscar 2019 , vincendo l’oscar alla migliore sceneggiatura non originale.

I film di Lee identificano un popolo, una comunità spesso condizionata dai bianchi, Spike attraverso le sue opere cerca di responsabilizzare la comunità nera anche nei consumi e nella moda liberandola dal giogo della conformazione al sistema bianco (Scena di Malcom X in cui Denzel W. si fa stirare i capelli per sembrare un “bianco” ).

Lee propone modelli alternativi, espressione di piena coscienza individuale e collettiva, un’espressione socio-identitaria a cui gli afro-americani possono ambire. Un’identificazione, divenuta nel corso del tempo il marchio di un modo di vedere e vivere la propria blackness, differenza, secondo Spike, di cui andare fieri.

Spike Lee , Oscar alla migliore regia non originale x BlacKkKlansman , 2019.
Alessandro Tione
Alessandro Tione
Alessandro Tione laureato in Scienze dei Beni Culturali, studio Management del Patrimonio Culturale e Fotografia. Appassionato di "Street Culture" , Cinema e Arte.

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