La fine di un’era? Bye bye Sneaker Culture

Spesso negli ultimi anni la tematica dell’evoluzione e della storia della sneakerculture è stato un tema centrale nel mondo della moda.

I focus delle discussioni negli svariati talk sono stati sicuramente diversi, a partire dall’evoluzione del design tecnico e grafico delle sneaker, passando ai materiali ed alla relativa qualità del prodotto, arrivando alla questione dell’hype riscontrato nei clienti dei grandi brand come Nike/Jordan ed Adidas.

Oggettivamente non si può non evidenziare il pensiero strettamente negativo da parte dei principali sneakerhead, tra cui anche P.J.Tucker, su ciò che è diventata la sneakerculture e su cosa ci aspetta in futuro.

I punti fondamentali da analizzare sono sostanzialmente due: le scelte gestionali e produttive dei principali brand al mondo in merito alla produzione delle sneakers, il relativo “gioco” del resell e, infine, le continue collaborazioni futili mirate a generare introiti e/o fidelizzazioni di clienti che della Cultura e della Storia che c’è dietro questo mondo non sono minimamente interessati.

In merito al primo punto, la scelta non dichiarata pubblicamente di variare sui materiali utlizzati per la realizzazione del prodotto ha generato un malcontento generale tra gli acquirenti, che oltre a percepire una qualità inferiore del prodotto, hanno visto salire esponenzialmente i prezzi retail negli ultimi anni a discapito della qualità del prodotto.

I materiali utilizzati, a partire dall’ecopelle utilizzata, passando per i rivestimenti delle tomaie, arrivando alla gomma delle suole e intersuole sono drasticamente calati e lo si nota anche nella risposta di una scarpa “messa a terra”: la resistenza della tomaia di una Dunk Low della Nike è attualmente bassissima, oppure la pelle utilizzata come rivestimento non è assolutamente paragonabile a quanto offerto anche soltanto dieci anni fa.

Sicuramente non ci sono solo note negative da evidenziare, e di positivo riscontriamo sicuramente la produzione delle Jordan, e poi estesa a quasi tutti i pezzi Nike, in versione Gore-Tex, dove la qualità del materiale usato per la produzione non è diminuita drasticamente, ma ciò comunque si riflette su un prezzo retail generalmente più alto rispetto ai classici pezzi.

In seconda battuta, anche la decisione di abbassare drasticamente il numero di pezzi prodotti ha generato e contribuito in modo fortemente negativo sul mondo del resell, che ormai si può definire come una vera e propria giungla incontrollata, basti pensare che banalmente si è arrivati a vendere una semplice AF1 a prezzi letteralmente folli, eliminando persino i grandi stock dagli store fisici.

Questo punto, in realtà, è impattato soprattutto del fenomeno delle customizzazioni delle sneakers da parte di pseudocalzolai che hanno letteralmente affossato qualsiasi tipo di idea di collaborazione più “anime”. Chiaramente si fa riferimento alle sneakers più classiche, come appunto le Air Force 1 della Nike, modello facilissimo da smontare e ricostruire in base alle esigenze dei clienti, ma che ha portato ad una variazione ed un’attenzione diversa da parte dei reseller nei confronti della collab ufficiali, generando una catena ricorsiva di ‘eventi negativi’ sul prezzo delle sneakers.

Proprio grazie a tutta questa catena creatasi, possiamo dire che infine la pietra tombale sulla fine della sneaker culture l’ha piantata il malsano “gioco” di collaborazioni con brand, artisti o personaggi di panorami assolutamente non legati ad esso.

Tutto questo come? Creando collab su collab, spesso inutili e terribili anche in termine design/grafico, senza un minimo di storia legata alla sneaker od al personaggio, ma che hanno generato un circolo vizioso di introiti che ha distolto sempre di più gli occhi dei clienti da quella che è la base di questa cultura: la Storia che c’è dietro quella che per i più è una semplice silhouette.

Basti pensare semplicemente ad una recente uscita di Donald Trump, quando lo scorso Febbraio si è presentato allo Sneaker Con di Philadelphia per il lancio delle sue personali “The Never Surrender High Tops” dal prezzo di 399$ retail, con un resell che è arrivato a sfiorare i 10k.

Ormai sembra essere una ricorsa generale alla scarpa più costosa che offre il mercato o alla moda passeggera, come le Panda per la Nike, le Samba prima e ora le Campus 00’s per l’Adidas (che hanno ‘generato’ una perdita di circa il 30% degli introiti nel primo trimestre del 2024) ed anche le 550 della New Balance rigenerate dal grandissimo lavoro degli ultimi anni fatto da Teddy Santis.

Che piaccia o meno la strada intrapresa è questa e difficilmente si tornerà indietro e come direbbe Jayceon Terrell Taylor, per i più The Game: Hate it or Love it, bye bye Sneaker Culture, almeno per i grandi marchi!

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