Ciccio Merolla: Napoli è ‘na malatìa

La musica partenopea di anno in anno è in continua crescita, si potrebbe azzardare anche un discorso su un nuovo “Neapolitan power” rappresentato soprattutto dai tanti rapper della scena che ormai dominano le classifiche. In questo 2023 però c’è un nuovo nome sulla bocca di tutti, un nome in realtà nuovo al pubblico mainstream, ma non realmente tale.

Da ogni bar, negozio e auto, passeggiando per la città di Napoli, piuttosto che scorrere sui vari social non si potrà non sentire Malatìa di Ciccio Merolla.

Per i più appassionati il nome di Francesco Merolla non suonerà nuovo, parliamo infatti di un musicista attivo dagli anni ’90, percussionista di Gragnaniello, Senese, ma anche di un artista con all’attivo 3 album.

Nel 2023 però si è accesa una nuova luce, probabilmente inaspettata, ma che ha dato vita alla colonna sonora di questo anno, superando anche i confini regionali.

Malatìa infatti ha raggiunto oltre 25 milioni di visualizzazioni su TikTok e la troviamo nelle classifiche di Spotify ormai da mesi.

Per approfondire questa magica storia e la salute della scena musicale partenopea abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo:

Oggi tutti ti conoscono per Malatìa ma il tuo primo album solista risale al 2004. Come ti sei avvicinato alla musica ed in particolare alle percussioni?

Non c’è un momento preciso in cui ho deciso di iniziare, è come se avessi sentito dentro di me l’esigenza del ritmo percussivo sin da piccolissimo. Ricordo infatti, all’epoca, ero bambino e non potendomi permettere una prima batteria mi capitava di suonare ogni cosa che avevo intorno a me, dalle pentole alle sedie, passando per un tavolo o semplici oggetti da cucina. Mi piaceva il suono che potevo comporre a modo mio emulando le canzoni che sentivo dai primi dischi in vinile o da quello che passava in radio. Un amore precocissimo che mi ha permesso a soli 12-13 anni di fare le mie primissime esperienza da turnista e finendo a comparire già nel 1985 in “Blues Metropolitano”, film di Salvatore Piscicelli con Pino Daniele. Poi sono seguiti gli anni di studio e di contaminazione con i ritmi del mondo. 

Dai tuoi inizi ad oggi cos’è cambiato?

Sicuramente la musica si è evoluta sotto ogni suo aspetto, da quello di genere e di contaminazione o quello che riguarda la distribuzione o la promozione. Se dovessi invece parlare di me stesso posso dire che non è cambiato quasi nulla, mantengo lo stesso entusiasmo che avevo da giovanissimo provando a rendere concreta una passione diventata professione, fatta di curiosità, di studio, di allenamento e prove e di ricerca. Forse oggi sento più responsabilità e consapevolezza in quello che faccio sapendo che ci sono più persone che seguono me e il mio lavoro. 

La musica etnica è il file rouge nella tua produzione musicale, riportando anche in auge suoni e tradizioni partenopee. Da questo punto di vista qual è lo stato della musica napoletana? Quanto sono presenti ad oggi le nostre radici e chi ti piace?

Credo che la ricetta migliori, che accomuna me e larga parte della scena partenopea sia proprio nel camminare sul filo che sta tra ricerca, sperimentazione sonoro e rispetto per le proprie radici, melodiche e non solo. Se dovessi scegliere un artista del panorama contemporaneo posso dire di avere un debole per Liberato, un progetto in cui alla matrice di tradizione partenopea si lega una produzione musicale capace di esportare la sua musica in tutto il mondo e renderla internazionale. In generale seguo tantissimo la scena attuale e posso dire che oggi proprio la produzione musicale e la maturità in generi come ad esempio il pop o il rap rende Napoli una realtà talmente credibile da poter competere a livello internazionale. 

Malatìa è un brano esemplare per spiegare la tua musica, com’è nato il brano?

La storia di “Malatìà” comincia qualche anno fa, quando pensai ad un progetto sonoro senza strumenti e che riconduceva a quello che poi fu il primo esperimento “corpo di donna”, in cui tentavo attraverso il contatto delle mani con la pelle di creare un suono attraverso un corpo. Quell’esperimento divenne poi un video che raccolse milioni di visualizzazioni e l’attenzione della stampa sia nazionale che estera. Decisi di non ripetermi però se non avessi prima pensato a una canzone che potesse accompagnare quell’esperimento. Ecco quindi che un giorno, mentre mi recavo al carcere minorile di Airola, in compagnia del mio amico e collega Lucariello, per dei laboratori musicali con i ragazzi in detenzione mi venne in mente questa antica melodia colombiana. Decidemmo allora di lavorare su quella melodia e scrivendoci delle strofe, come un’ispirazione arrivò Malatià.

Per chi non é napoletano come spiegheresti il termine “malatia”?

Credo sia difficile la trasposizione in italiano di una terminologia tanto cara e verace come “Malatià”,  se dovessi dare un’idea della parola direi qualcosa che supera ampiamente la passione, qualcosa che può ricadere anche nell’accezione negativa della sua matrice ma al contempo qualcosa che ti muove dentro e per cui non può farne a meno, anche a costa di danneggiarti.  

Che effetto ti fa sentire il brano ovunque ed essere associato anche al Napoli? Malatia è ormai la colonna sonora di una stagione incredibile.

Mi sento profondamente inorgoglito di questa associazione tra il mio brano e il Napoli calcio, credo sia stata una stagione straordinaria e un pò come una bella favola da raccontare ricalca la storia di questa canzone, quasi sconosciuta al momento della sua uscita e poi diventata, per l’appunto, inno d’amore alla città e alla squadra. Questo mi rende il cuore ricolmo di gioia. 

Daniele Carrano
Daniele Carrano
Scrivo per il piacere di confrontarmi con gli altri. Co-fondatore di Escape Vision.

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