Artwork: Im.Kermit
Foto: Gaetano De Angelis
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É raro vedere un’artista partenopeo non parlare esplicitamente della sua città, su Facebook in uno status ne hai parlato come la città più bella del mondo, eppure nei tuoi testi Napoli sembra non esserci in questa ottica. Che rapporto hai con la tua città?
Io non parlo di Napoli esplicitamente, ma in qualche modo c’è sempre. Il mio rapporto con lei è di amore ed odio, come tutti. Da quando sono a Londra però la sto apprezzando di più, l’ho sempre amata, ma oggi dopo 5 anni fuori ne avverto la mancanza. Mi manca molto la verità che ti trasmette la città, soprattutto la sua umanità. Per questo quando vengo qui la ritengo la città più bella del mondo, però magari non è così, viverci.
Da quando sei a Londra hai intrapreso il tuo business, attraverso la Pizzeria Bravi Ragazzi e Daddy Buns, eppure dai tuoi testi emerge ancora la tua voglia di rivalsa. Dove vuoi arrivare?
Io sono un eterno insoddisfatto. Più cose realizzo più non sono soddisfatto, crescendo lo sto capendo sempre di più. Questa è una croce che mi porterò sempre.
Sicuramente mi piacerebbe crescere musicalmente, non in senso mediatico bensì personale. La mia è una guerra continua contro me stesso, più che con gli altri. Tutto quello che faccio non mi piace mai. Il mio obbiettivo non è quello di fare un disco che sfonda, ma di fare un disco che mi faccia dire ”bello, hai fatto bene”.
Soffermandoci sulla tua musica, tu canti e rappi, ma non fai i ritornelli come molti rapper-cantanti, nei feat ti fai sempre la tua strofa. Preferisci rappare?
Non riesco a vedermi solo come un rapper, mi piacciono tante cose diverse; ascolto da Gianni Celeste a Curtis Mayfield. Ho tante sfaccettature, ma si, il rap è la mia passione principale, il mio mondo.
Pensando alla società odierna è facile affermare che l’apparenza, il gusto estetico, sia più importante dell’essere, della sostanza. Dai video alla musica, tu e il tuo team, capitanati da Luchè, riuscite ad unire entrambe le cose, come pochi o forse nessuno.
Fa semplicemente parte del nostro essere, non è voluto. Io sono un grande osservatore, mi piace scoprire e conoscere; in più sono molto perfezionista e quindi ci tengo a curare tutto fin troppo.
Come ti spieghi invece che il trend della musica odierna, in Italia ma non solo, sia proprio l’apparenza piuttosto che la musica in se (paradossalmente)?
Credo sia un problema generazionale. Adesso le nuove generazioni che si approcciano al rap hanno diversi punti di riferimento.
Io sono cresciuto con un’altra visione del rap che ho tutt’ora. Dalle medie sono appassionato anche di moda, ma ho sempre fatto una distinzione fra i due mondi. Sono cresciuto con i Co’Sang, i Mobb Deep, realtà che adesso non esistono. Nel mondo ormai l’approccio è superficiale. A differenza degli States in cui c’è spazio per Kendirck Lamar, per J Cole e spazio per Lil Yatchy o Lil Uzi Vert. In Italia il pubblico è più ristretto, non c’è spazio per tutti.
Sono fiducioso però, credo stiamo arrivando ad un cambiamento.
”Sto illuminando il mio show, prima di salire sul palco” diceva Corrado nel 2012 in Ciò che abbiamo siamo noi. Oggi c’è Coco e di luce nel tuo show ce n’è tanta, adesso è uscito un nuovo brano qual è il prossimo obbiettivo?
Ci sono artisti che cambiano le regole e altri che restano nelle persone. Io non mi ritengo il primo tipo di artista, voglio lasciare qualcosa alle persone. Sono felice quando mi fermano e mi dicono che con le mie canzoni si emoziona e ragiona. Non voglio essere il trend del momento o il king del rap.
Se guardiamo la scena rap da fuori notiamo come siano in pochi a dare spazio alle proprie debolezze. Se guardiamo la scena napoletana da fuori invece notiamo come tu sia il solo a farlo. Napoli è la città dell’amore e dei sentimenti, eppure nel rap questa cosa non si nota: o c’è la denuncia sociale, un rap più di strada, o ci sono le barzellette. Come mai?
Non lo so, credo sia dovuto al mio background. Sono cresciuto con i Sottotono, Tormento; quello sicuramente mi ha influenzato. C’è un altro approccio.
foto di Dan Carrano |