La pandemia covid-19 ha fatto riemergere problemi ancorati alla società italiana, tra i più discussi c’è la cultura, che non producendo profitto a breve termine, è stata messa da parte.
In Campania questo periodo ha solo spogliato ulteriormente le ferite già vecchie, e fatto sorgere nuove domande.
Da meno di un mese la facoltà di Lettere di Napoli ha occupato la sede di porta di massa, e ogni giorno si riunisce nel chiostro, dopo averne riottenuto la riapertura.
Per capire meglio cosa sta succedendo abbiamo intervistato due delle loro rappresentanti.
Sentite di rappresentare tutti gli studenti?
Si, noi abbiamo posto un problema, da quando abbiamo iniziato cioè circa 2 settimane fa, abbiamo avuto una grande partecipazione.
Rappresentiamo ciò che viviamo e le questioni che andiamo ad affrontare riguardano tutti.
Allora perché ricevete così tante critiche?
Chi ha avuto un confronto con noi negli ultimi anni, poiché sono problemi che pre esistono al covid, sente di dover affrontare la questione.
La lotta studentesca è anche lotta di classe, è chiaro che se hai dei privilegi non ti poni il problema per chi quei privilegi non li ha, se qualcuno invece semplicemente non condivide quello che diciamo beh, va bene così.
Noi abbiamo posto un problema, chi vuole dialogare è il benvenuto, nessuno dice che siamo dalla parte del giusto, fare solo i leoni da tastiera però non è utile, se poi non si viene qui a parlare.
Quali sono gli obiettivi?
Università libera, gratuita e accessibile per tutti. Un’università pubblica non può far rimanere nessuno indietro, ci sono delle criticità e chi di competenza deve risolvere questi problemi.
I punti principali sono 3 al momento:
1) l’abolizione per quanto riguarda quest’anno accademico delle penalità economiche e curriculari legate ai criteri meritocratici
2) che l’anno accademico in corso non sia contato ai fini del calcolo del tempo necessario al completamento degli studi
3) revoca delle more applicate al pagamento in ritardo delle tasse da parte di studentesse e studenti
Inoltre stiamo anche svolgendo un progetto con “sinapsi”, che è lo sportello psicologico dell’università.
Pensate che la comunicazione che state adottando sia efficace per far capire i vostri obiettivi? Tra queste l’occupazione della sede di lettere vi è tornata utile?
La nostra occupazione è stata fatta nel rispetto delle norme anti covid, abbiamo occupato solo un’aula. Siamo i primi a volerci tutelare, di sicuro non siamo l’onda.
L’occupazione non è stata l’origine ma è attraverso la partecipazione fisica che abbiamo ottenuto la riapertura della sede di lettere.
Inoltre non siamo social media manager, non facciamo comunicazione, quindi per noi al momento è difficile trattare alcune questioni. É un punto sicuramente da migliorare, anche perché stiamo cercando di creare uno spazio per chi non può raggiungerci fisicamente alle assemblee pubbliche.
Tra l’altro è da un anno che ci riuniamo nella mensa occupata, ora ci siamo spostati qui, a porta di massa. Abbiamo inviato documenti, spedito mail-bombing, ma nessuno di chi di dovere ci ha mai ascoltato.
Bisogna dire però che il gap comunicativo non è solo nostro. Per quanto riguarda invece gli studenti, se vuoi capire contattaci e troveremo un mezzo per venirci incontro.
Avete collaborato con collettivi, movimenti, o artisti?
Si, siamo supportati da vari settori, poiché la nostra lotta è intersezionale e nasce dallo sciopero del 29 gennaio delle diverse categorie produttive. Noi ora siamo studenti, domani saremmo lavoratori, e sono tra l’altro quest’ultimi che compongono l’università per quanto riguarda la sua organizzazione.
Siamo tutti sulla stessa barca. Alcuni collettivi di Napoli come “assembramentah” ci aiutano molto, quest’ultimo in particolare sostiene soprattutto la causa femminile alla luce dei numerosi scandali sessuali che hanno riguardato la nostra università, c’è un regolamento per gli studenti e non per gli insegnanti, questo è un problema.
Per quanto riguarda gli artisti della scena, nessuno si è voluto mettere il cappello su questa cosa, e dal canto nostro l’assemblea ha deciso di non volere rappresentanti.
I rapporti con il rettore quali sono?
Non ci sono, si rifiuta di incontrarci nonostante le nostre richieste, che fanno parte delle sue competenze. Non vogliamo per forza essere assecondati ma almeno aprire un dibattito con chi di dovere.
Le nostre idee demoliscono l’idea di università che c’è adesso. Non tutti sono disposti a rinunciare ai propri privilegi, poiché le nostre idee comportano più spese per lo stato e meno per gli studenti.
Abbiamo il diritto di essere ascoltati.
Sicuramente la questione delle lauree in presenza non ha aiutato. L’annullamento e successivamente il ripristino di queste ultime è stata palesemente una manovra chiara da parte del rettore.
Ad ora in questo plesso non si sono svolte lauree.
Noi non rinneghiamo la DaD, ma i modi di garantirla a tutti non sono efficaci. La regione Campania non fa abbastanza, per dei semplici cavilli burocratici a volte non si riesce ad accedere a diritti che dovrebbero essere scontati.
Siete in contatto con in rappresentati delle altre facoltà?
Si, abbiamo parlato con i rappresentanti degli atenei di giurisprudenza, architettura, matematica, agraria. Vengono in assemblea, al rettorato, e discutiamo insieme sul da farsi, il modello universitario è di tutti, non appartiene ad una singola facoltà.
Qual è il vostro programma nel medio- lungo termine?
Eliminare la concezione dell’università come quella di “un esamificio” bisogna avere lo spirito critico di capire dove ci sono dei limiti, per poi risolverli.
Stiamo facendo incontri con i ragazzi delle superiori, con i lavoratori dello spettacolo, e parteciperemo alla manifestazioni a favore dei meno avvantaggiati. Fuori è tutto aperto, la strada è piena di persone, se è emergenza per tutti perché non veniamo considerati anche noi in questa situazione, ed agevolati di conseguenza?
Il tempo di organizzarsi c’è stato, vogliamo delle risposte.