Quando mi hanno comunicato che avrei lavorato al concerto di Travis Scott non ero in grado di capire cosa stesse per succedere. Di Travis Scott conoscevo qualche canzone dell’ultimo album e la celebre goosebumps, niente altro.
Sapevo che a Milano ottantamila persone avevano fatto tremare la terra sotto ai loro piedi, tanto da scatenare un piccolo terremoto, sapevo che nel 2020 il rapper si era sdoppiato nel mondo virtuale cantando nell’universo di Fortnite, sapevo anche dei morti a Houston, Texas.
Tuttavia non sapevo, e non avrei potuto neanche immaginare, quello che avrei visto. Il 7 agosto 2023 ho visto dio sceso in terra: era nero.
Pur non essendo un fan, quando ho scoperto che avrei lavorato al concerto di Travis Scott ho sentito l’esigenza di raccontarlo a tutti i miei amici. «Mi stai ascoltando? – dicevo – «è la prima mondiale di Utopia e Travis la fa a Roma!».
Voci di corridoio preannunciavano la presenza di Kanye West e Drake. Qualcuno diceva addirittura Beyoncé, io non c’ho mai creduto. Però ci speravo, quanto c’ho sperato. I giorni precedenti al concerto si sono consumati nell’attesa. Quindici giorni separavano il concerto milanese da quello romano. E da buoni fedeli, tutti i suoi fan fremevano per il ritorno del messia.
Una volta varcati i cancelli del Circo Massimo si avvertiva un cambiamento nella densità dell’aria, elettrica è dire poco.
All’apertura, poco più tardi delle due, si potevano sentire le voci dei fan più accaniti, accampati dalla sera prima davanti agli ingressi per accaparrarsi un posto in prima fila, lanciati in una corsa sfrenata verso le transenne. Niente in confronto ai campeggi durati cinque, sei o anche sette giorni a Campovolo, per Harry Styles. Con la differenza che il concerto di Harry era atteso da un anno, quello di Travis Scott l’avevano annunciato quattro giorni prima.
Più di cinquantamila biglietti venduti, con fan arrivati da tutto il mondo. In quattro giorni. Risalendo dalla schiena fino alla nuca, scariche di adrenalina aumentavano la mia eccitazione. Ma chi è costui, di cui so poco o nulla, e mi agita così tanto?
E poi è arrivato. Non l’ho visto scendere dal van, qualche mia collega invece sì: «Cioè capisci, io ero qui, lui laggiù. Non è tanto lontano». La tentazione di lanciarsi nei camerini coltivando la speranza di vederlo da vicino, senza un motivo apparente, era fortissima. Esiste davvero Travis Scott? Se non vedo non credo, diceva qualcuno. Ma non era il momento giusto, c’era altro da fare. Assicurarsi che tutto procedesse senza intoppi, risolvere i problemi, combattere l’ansia di non essere all’altezza del compito. È un giorno troppo importante, devo fare la mia parte.
Il Circo Massimo si riempie, il pubblico inizia a ballare sulle note sincopate di un dj set. Saltano tutti, il cuore si sintonizza sui bpm giusti e pompa a ritmo di musica. I bassi avvolgono la massa. Sta per succedere qualcosa di unico. Travis Scott si fa vedere sul palco. Il pubblico gli chiede di portali a puttane. Ma lui è Travis Scott, mica Berlusconi.
Riconoscendo il pass che avevo al collo, qualcuno mi chiede se avessi informazioni sui featuring. Vorrei tanto, ma non so ancora niente. Anche io sono preso da una curiosità morbosa, come se saperlo prima di vedere gli artisti sul palco mi cambiasse qualcosa. Probabilmente i fan vogliono conoscere il nome di chi duetterà con l’artista per farsi trovare pronti e non svenire.
Mi arriva un messaggio: «Ci sarà Kanye». Il concerto sta per iniziare. Sulle note di Hyaena le luci si accendono a tempo fino a quando le casse urlano un heeeeeeeeeeeelp e il palco viene avvolto dalle fiamme. Dietro i getti di cherosene c’è una struttura simil piramidale, avvolta in una nuvola di fumo.
Basta un attimo, la nebbia si dirada, emerge una sagoma vestita di bianco con indosso le spalline rinforzate dell’armatura Sayan. Lo vedo dimenarsi dalla cima del monte come un demonio. Mi devo essere sbagliato, quello non è Dio, è Satana in persona. Ma il colore degli abiti lo tradisce: è puro, è candido. Ancora una volta mi chiedo chi è costui. Sono estasiato dai suoni e dalle immagini.
Il mio ruolo mi impone di stare tranquillo, ma non riesco a trattenere le braccia che mi sfuggono seguendo i movimenti del rapper. Poi è apparso Kanye, il padre putativo di Travis Scott. Non esiste Travis Scott senza Kanye West, dice l’artista. E un anno e mezzo di polemiche sono spazzate con Ye sul palco sulle note di Praise God.
Ye è vestito di nero, ha un cappuccio. Non esiste Travis Scott senza Kanye West. Non esiste bianco senza nero. Allora non esiste bene senza male. Ecco chi è Travis Scott, è la vita con le sue sfumature. È l’intimo della notte e la luce scandalosa del giorno. Non è Dio, è un dio. È i nostri sogni segreti e il bersaglio contro cui dirigiamo la nostra rabbia, è il divertimento sfrenato e l’eccesso che ripugniamo con tutto il moralismo di cui siamo capaci. Travis Scott è la vita.
Il concerto prosegue e Travis Scott rimbalza sul palco, arrampicandosi sulla struttura centrale, andando in contro ai fan sulla punta, per lo più cantando a debita distanza. Si tema la situazione potesse degenerare e invece niente. Un timido accenno di problema e l’intervento tempestivo della sicurezza per far continuare lo show. Cantano tutti, anche a Roma trema la terra sotto i piedi. Qualcuno si lamenta, partono le chiamate ai vigili del fuoco. C’è chi ha paura che i cunicoli sotterranei del Circo Massimo possano essere danneggiati, non ha tutti i torti. Ma non è quello il punto. L’evento è un toccasana per l’Italia e per Roma. Che bello essere al centro del mondo.
Dopo un’ora e mezza il concerto finisce e con lui la magia. Abbiamo aspettato e adesso non abbiamo più nulla da aspettare. Da domani i giorni riprenderanno a scorrere in maniera monotona come hanno sempre fatto. Prima di allontanarmi dal Circo Massimo vado a recuperare lo zaino in ufficio e faccio un salto un bagno.
Poco più avanti, in un posto che è laggiù, ma non è lontano, lo vedo girato di spalle a colloquio con una persona del suo team. Si è mostrato quando doveva diffondere il verbo e adesso a noi comuni mortali non più consentito vedere il suo volto. Va bene così. Perché è in questi momenti che mi viene da pensare “Thank God, I breathe tonight”.