In una intervista poco prima dell’uscita di “Pensavo fosse amore invece era un calesse” un grande Massimo Troisi raccontava ai microfoni di Gianni Minà la difficoltà di raccontare Napoli a 360 gradi: “ognuno racconta la sua Napoli, perché Napoli è piena di contraddizioni, è così diversa in ogni piccolo angolo che vaje, secondo me non si riuscirà mai a raccontare effettivamente Napoli. É raccontarsi. Ognuno che è di Napoli, che si racconta, racconta un pezzo di Napoli”.
Secondo l’attore napoletano era/è impossibile raccontare Napoli nella sua completezza, ma ognuno può raccontare la sua Napoli.
Loris Spadaro attraverso le sue splendide fotografie, con uno stile inconfondibile, ci restituisce la sua Napoli, un occhio attento alla vita della città nel quotidiano, dove i suoi stessi abitanti assumono il ruolo di protagonisti principali nelle composizioni fotografiche.
Ciao Loris, per iniziare vorrei chiederti come e quando nasce la tua passione per la fotografia? Quando e come hai capito che scattare in strada era il tipo di fotografia che più ti si addiceva?
Ho cominciato e basta. La strada ha sempre rappresentato per me il compimento della vita vera, della Meraviglia. Non sai mai cosa può accadere, chi puoi incontrare. La strada è il posto in cui la città, il suo spirito, vengono fuori tutti assieme.
L’approccio con il soggetto, quando fotografi principalmente persone, è uno dei momenti più decisivi dell’immagine. Tu come ti avvicini ai soggetti che vuoi immortalare, chiedi di poter scattare loro una fotografia o “rubi lo scatto”?
Fotografo le persone prevalentemente a loro insaputa – e questo vale anche quando si stabilisce un contatto visivo, anche quando per un brevissimo istante nel soggetto sorge la consapevolezza, o quanto meno il dubbio, di essere stato fotografato. In alcuni casi preferisco chiedere, quando il soggetto merita maggiore attenzione o quando una fotografia strettamente “candid” non mi consentirebbe di ottenere quello che ho visto.
Quali sono i consigli che daresti ad un nativo fotografico alle prime armi, soprattutto se questo non ha mai scattato in strada?
Gli consiglierei senz’altro di perderci tantissimo tempo, di dedicarsi alla strada possibilmente tutti i giorni o comunque tutte le volte che può, di tenere sempre con sé la macchina fotografica. Di pensare a cogliere le opportunità che la strada continuamente offre anziché badare troppo ai tecnicismi. Di andare e tornare a piedi o con i mezzi pubblici. E poi, ovviamente, di fotografare ciò che gli fa battere il cuore.
Chi sono i tuoi punti di riferimento, hai un idolo fotografico?
Su tutti, Garry Winogrand e Robert Frank. Con loro, più che con altri, secondo me, quella che comunemente si definisce visione diventa vera e propria poetica. Del primo ammiro moltissimo l’entusiasmo, il vigore fisico che traspare dal dinamismo e dalla composizione delle immagini; del secondo, il distacco rispetto ai soggetti, la malinconia e l’intimità dello sguardo. Sono fotografi nei quali, a mio modo di vedere, è forse addirittura preponderante il momento emotivo.
Si dice che le nostre foto sono la somma dei libri che leggiamo, della musica che ascoltiamo, dei film che vediamo e via discorrendo, ora mi piacerebbe tanto sapere tre titoli di film che ti piacciono particolarmente da un punto di vista fotografico e se questi poi hanno in qualche modo influenzato la tua fotografia?
Ho ricevuto e ricevo più influenze dalla letteratura che dal cinema. Credo sia dovuto alla mia necessità di tornare più volte su un paragrafo o su dei versi, isolati momentaneamente dal resto, affinché le cose sedimentino. Non credo di essere un gran fruitore di cinema, purtroppo. Ecco, posso dire che, nel mio caso, le mie fotografie sono la somma dei libri che ho letto.
Una volta lessi un commento che mi colpì tantissimo sotto un video di Bruce Davidson su YouTube : “Street is the best, street takes a lot of skill…street takes balls, courage, knowing your camera like the back of your hand…observe, question, think, act, be hidden, be in the moment, slow down, listen to the enviroment, the smells…everything…composing a shot on fly and using the surrounding enviroment as a frame…street photophraphy is bliss” in relazione a questa frase cosa ti senti di aggiungere, condividi queste parole?
Condivido pienamente queste parole. Per dovere di completezza, sento di aggiungere umilmente questo: che la strada richiede anche capacità di adattamento, di sfruttare ciò di cui si dispone – dalle proprie abilità fisiche alle peculiarità del carattere; dall’attrezzatura alle condizioni di luce; dal tempo a disposizione al proprio stato d’animo.
Le tue fotografie sono principalmente in bianco e nero, ma il colore è comunque presente in alcune tue immagini, a cosa è dovuta questa scelta?
La scelta del bianco e nero è puramente esistenziale, è una necessità espressiva. Non ho alcuna idiosincrasia nei confronti dei colori – il colore è sempre presente, anche nel bianco e nero. Mimmo Jodice a tal proposito disse: “Io porto dentro una mia sofferenza, una mia inquietudine, che col colore diventa più realtà. E io devo rimanere a cavallo tra l’immaginazione, il sogno, la speranza”. Mi riconosco parecchio in queste parole, e di sicuro nella scelta del bianco e nero dettata essenzialmente dalla propria visione del mondo, da ragioni esistenziali. Per contro, il bianco e nero cede il posto al colore quando “ho visto a colori”, quando il colore è al servizio di ciò che ho visto. Quando ciò che ho visto non lo avrei visto senza colore.
Esiste una condizione ideale in cui ti piace scattare? Ad esempio, preferisci passeggiare in solitaria o in compagnia, non avere un itinerario e lasciarsi trasportare dall’istinto o programmare la tua passeggiata fotografica? Raccontaci.
La solitudine è una condizione essenziale, se parliamo di fare questo genere di fotografia. Tuttavia, non mi dispiace farlo in compagnia. Una persona con cui condividere la fotografia di strada, se mossa dal medesimo interesse, se vi si dedica con la medesima intensità, è una persona dalla quale si può imparare tantissimo: può farti scoprire posti, farti conoscere persone, insegnarti un modo diverso di guardare al mondo, può svelarti opportunità e presentare cose nuove al tuo sguardo, ampliandolo. Non programmo mai, scelgo il mio percorso in base ad una serie di circostanze del momento. Mi affido molto all’istinto, scelgo dove andare in base al tempo di cui posso disporre, ma anche in base anche alle forze fisiche, al mio stato d’animo del momento, non da ultimo in base alle abitudini di vita della città – che credo di aver compreso almeno un po’. La fotografia per me è uno spazio pressoché assoluto di libertà, risponde soltanto a me stesso – e a quelle tre, quattro regole che tengo dentro di me
Ti sarà capitato di scattare in altre città d’Italia o del Mondo, quali sono le differenze e/o le similitudini con Napoli?
Napoli è un luogo che restituisce molta umanità, nel bene e nel male. Non ho trovato altrove un luogo simile, ma a onor del vero devo ammettere di non aver viaggiato molto in vita mia. Non ho sufficiente esperienza per poter fare comparazioni.
Hai una città dei sogni in particolare dove ti piacerebbe scattare?
Rinuncio alla possibilità di fotografare in giro per il mondo per continuare a fotografare qui a Napoli, per tutta la vita. Tutte le cose che ho da dire prendono forma qui, nella lingua e nei modi di qui. Soltanto qui posso sperare di capire e di essere capito. Credo che si tratti di una questione di linguaggio. Confesso che a me, della fotografia in sé, interessa poco. Mi importa della fotografia nella misura in cui somiglia, per potenzialità ed efficacia, oltre che nella sua intrinseca natura, al linguaggio poetico. Credo che tutto questo, almeno per quanto mi riguarda, possa compiersi soltanto qui.