La fotografia contro una realtà brutale: intervista a BrutalCore From Naples

Le strade di Napoli ora sono in festa, dopo 33 anni la squadra della città ha conquistato il suo terzo scudetto, attirando tifosi, appassionati e curiosi. In queste stesse strade però c’è chi ci passa il suo tempo libero, per condividere con i propri concittadini giornate, emozioni e catturare momenti.

Brutalcore From Naples è un fotografo partenopeo, dei quartieri spagnoli, pronto a macinare chilometri per vivere e raccontare attraverso la fotografia la sua città.

Quotidianamente, infatti, tramite il suo account Instagram ed i post “Daily life” ci si può ritrovare a Napoli, nella sua quotidianità e nella sua essenza più pura.

Ciao Brutal, per iniziare vorrei chiederti del tuo nome su Instagram: come nasce e cosa significa per te? 

È davvero curiosa, ma visto che mi accompagna da sempre questa domanda, non mi stupisce neanche un po’.

Il nick nasce alla fine dei ’90, quando i social network erano fatti di mIrc e DC++ . La privacy era una questione seria e ci si proteggeva meglio in rete. C’era una forte avversione alla deriva odierna del “tutto in piazza”. Erano Server con decine di migliaia di utenti collegati da ogni parte del mondo, e Main Room, dove si chiacchierava h24.

Gli unici riferimenti disponibili “Nickname e cartelle file condivise”. Il pacco insomma, era sempre dietro l’angolo. Si ciucciavano TB di file e dati da altri utenti tra una richiesta di info e scleri di gruppo buttati li su uno schermo. Discografie e filmografie finivano nei risicati hard disk dell’epoca come pioggia torrenziale. Ho conosciuto, negli anni, decine di persone fantastiche, dal vivo, provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. Poi arrivarono MySpace e Facebook e vaffanculo alle sorprese visto che potevi inserire foto personali e alla privacy!

Vista la necessità, dicevamo, scelsi quello che più mi rappresentasse in quel momento,  e niente di meglio di “Brutalcore”, figlio diretto del mio background musicale.

Il cosa significa per me, è un pizzico più complicato. Il termine viene da un certo tipo di musica e di stile di vita. Cose fighe insomma… ma la vita è comunque Brutale nella semplicità della  sua natura. Te lo spiattella in faccia in ogni momento, nonostante la tanta bellezza che le fa da contrappeso.

Sono nato nel ‘77 e cresciuto in uno dei quartieri più antichi e problematici di Napoli. Nel vero ventre putrido della città, in un epoca, dove la brutalità del quotidiano la imparavi in fretta. Negli anni ’80 non c’erano molte alternative nei Quartieri Spagnoli.

Violenza, Criminalità, Tossici e Prostituzione. Era la tana del lupo, vista in quegli anni affacciandoti da Toledo. O imparavi in fretta a conviverci e lottare o venivi risucchiato in una delle tante sfaccettature negative. Realtà ben lontana da come la conosciamo oggi.

La musica, lo skate, il basket, la passione per gli sport estremi, la cultura di strada di quegli anni e tanti altri piccoli interessi, sono stati la mia ancora di salvezza per evadere ed espandere la mia visione oltre quel budello di strade buie.

Proprio la musica, quella più estrema e brutale (poteva mai essere?) mi ha rapito e portato via, nel momento peggiore di quel posto. Ha troncato quelle situazioni e frequentazioni che potevano accompagnarmi sulla via del non ritorno. Strano a dire, ma ascoltare e suonare Death Metal e Brutal Core, mi ha salvato!!!

Amo il mio quartiere nonostante tutto. Non oso immaginare cosa sarei oggi senza quel background. C’è un cordone ombelicale che non ho mai reciso dal posto dove sono nato e cresciuto e ne vado sempre fiero. Ho sognato e sperato negli anni, che migliorasse e crescesse proprio nell’approccio alla vita.

Adesso siamo quasi sul binario giusto, stupiti dal flusso turistico che l’attraversa nell’arco degli ultimi anni e grazie a tante piccole realtà che si sono battute e fatte strada perché ciò accadesse.  Nel mio piccolo cerco di contribuire al cambiamento.     

Per quanto riguarda la tua passione per la fotografia invece? 

La fotografia è una delle ancore che citavo prima. Arrivata molto tardi nel mio percorso di crescita formativa. È stata un alternativa all’assenza di valvole di sfogo. Una scoperta fantastica, quando sono venuti a mancare i miei vecchi mezzi di espressione.

Prima vivevo e comunicavo solo grazie, e tramite, la musica e la mia chitarra. Cazzo è tosta da dire la parola COMUNICARE considerando ciò che suonavo e ascoltavo.

Un amico (ormai da un trentennio), con cui ho condiviso davvero “SUONNO E MUSICA”, mi ha iniziato alla fotografia. All’epoca non ero andato mai oltre le semplici foto ricordo con la usa e getta. Invidiavo la Zenith di papà e mi sarebbe piaciuto imparare, ma niente. Avevo già il mondo parallelo.

Non la consideravo come forma di espressione e/o comunicazione. Ero troppo preso da accordi, riff, distorsioni, bpm altissimi e voci growl /scream. Finita la musica, perché la vita come dicevamo, è BRUTALE e te lo spiattella in pieno volto, mi ritrovo perso e senza alternative di sfogo. Bloccato in un lavoro che mi consumava lentamente dentro.

Paolo fotografava all’epoca già da un po’ di anni, districandosi tra diapositive e negativi e un giorno mi piazzò in mano una delle prime compatte point & shot digitali di Canon.
Mi spiegò i primi rudimenti di base e via. AMORE! DI NUOVO AMORE! 

L’importante fu provare di nuovo amore verso un mezzo che mi permettesse di esprimere il mio disagio o le mie guerre interiori e viaggiare di nuovo con la mente. 

Da quel che si nota su Instagram la streetphotography è il tuo stile preferito, è corretto o vorresti avvicinarti anche ad altro? 

Negli anni ho spaziato e sperimentato parecchio, come credo tanti. Per curiosità, per formazione, per lavoro.

Credo fermamente nel concetto di Passione, delle Competenze e dell’Attitudine. Ad ognuno il suo. Non mi sono mai fidato dei marchettari e dei tuttofare.

La strada MI RENDE LIBERO in tutto e per tutto. È la mia dimensione e non potrebbe essere altrimenti. La vivo e la respiro da sempre ed è li che trovo lo specchio in cui guardarmi dentro.

Raccontarla, documentarla e continuare ad esplorarla giorno dopo giorno è come scrivere il mio diario di vita. 

Chi sono i tuoi fotografi di riferimento? Magari c’è anche qualcuno napoletano? 

Te ne potrei nominare tantissimi: Koudelka, Webb, Gibson, Gilden, Friedlander. Klein, Parr, Eggleston, Frank, Gruyaert, Depardon… Dai è impossibile. Benedico ogni soldo speso in libri fotografici da cui sono dipendente (cosi come per le sneakers).

Alla fine faccio riferimento solo a me stesso,  al mio stato d’animo del momento ed a quello che mi offre ogni metro di strada che percorro quotidianamente.

A Napoli ce ne sono davvero tanti di bravi fotografi che non hanno a mio avviso il giusto riconoscimento.

Michele Liberti, Robbie McIntosh, Noletto, Loris Spadaro (che è uno dei pochissimi con cui amo fotografare quando ci becchiamo sulla strada) e tanti altri, che insomma  meriterebbero ben altre vetrine. 

Le tue pubblicazioni sono costanti, racconti quotidianamente “daily scene”, qual è il tuo metodo di lavoro?

Non ho un metodo di lavoro. Io sono costantemente sempre in giro e prendo ciò che la strada mi offre. Pubblico quando ho necessità di raccontarmi.

Ci sono periodi in cui mi assento e altri dove sono più propenso a condividermi con gli altri. È il racconto della mia giornata. Ogni singolo soggetto ripreso, è uno specchio in cui mi rivedo. 

Spesso domando qual è l’approccio con il soggetto, a te mi sembra banale chiederlo. I tuoi mi sembrano tutti “scatti rubati”, come mai questo approccio?

Per me è la regola. Una delle poche a cui tengo. È quella per me la realtà.
 Il momento, l’emozione, l’azione, che vive in quel singolo centesimo di secondo ogni soggetto che riprendo. Cerco di essere un fantasma in quel breve istante che incrocio le persone.

Sono maleducatamente discreto perché spesso gli piazzo il 28mm nei denti senza che se ne rendano conto. Non bado più agli orizzonti storti e alle composizioni perfette. Fotograficamente Sbagliatissimo lo so.

Diciamo che me ne fotto dell’estetismo. Mi interessa la mimica e l’espressione. L’emozione impressa sul volto delle persone. Amo sentire il brivido di sbattergli quasi addosso e la sensazione di quel tipo di interazione tra me e il soggetto. Lo stupore e l’incertezza di essere stati fotografati e la tensione o meno, che ne consegue. È sopravvivenza emotiva. Mi fa sentire vivo e connesso.

Capita che in certi casi mi ci fermi a parlare con personaggi spettacolari nella loro assurdità. Lo faccio per continuare a fotografarli a loro insaputa mentre siamo in contatto verbale. Mimica, Linguaggio del corpo, esplosioni emozionali.

Situazioni solo per soggetti che lo meritano veramente e che ovviamente suscitano il mio interesse. Raramente chiedo il permesso di fotografare le persone che incrocio per strada. È come una foto ricordo per me in quell’occasione.  

Tornando alla prima domanda e al tuo essere “brutalcore”: quanto ti influenza la musica o il cinema? In particolare, cosa ti ha influenzato e continua a farlo quotidianamente? 

Come dicevamo, la musica ha influenzato tutta la mia vita. Da piccolo e a trecentosessanta gradi.

Il cinema è un’altra passione enorme che mi accompagna da sempre. Sono capace di guardare e riguardare film fino allo sfinimento. Imparare a memoria interi periodi. Tra gli amici più intimi siamo soliti dialogare per citazioni da film in maniera continuativa.

Un po’ come la musica amo il cinema a trecentosessanta gradi. Quando ho iniziato ad interessarmi veramente di fotografia, l’ho guardato ancora con più attenzione.

Luci, inquadrature, l’uso dei campi di ripresa, la scelta dei colori e annessa psicologia… diciamo molto prima che andasse di moda la mania da Social delle CineColor e cazzi e mazzi vari.  

La color nelle tue fotografia mi sembra ben studiata, racconti Napoli in maniera vivida e cupa: spiegami questa scelta.
Come dicevo prima “la scelta dei colori e annessa psicologia… diciamo molto prima che andasse di moda la mania da Social delle CineColor “.

In realtà non c’è niente di studiato dietro le mie fotografie per quanto riguarda i colori.
Mi piacciono i toni freddi e le ombre piene. Tendenzialmente ho sempre  fotografato per istinto con questi toni.

Napoli è cupa di suo. È visceralmente Luci ed Ombre. Una eterna contraddizione anche nei colori. È una ragnatela di strade strette e buie, dove il sole cerca di infilarsi e farsi spazio riflettendosi sul tufo e sul basalto per far sentire la sua presenza. È quello che seno. È quello che vedo. Considera poi che sono miope e traine tu le conclusioni!

Hai una “daily scene” dei sogni che vorresti scattare?
Senza ombra di dubbio, quella di domani e domani l’altro e l’altro ancora. Finché avrò cuore e passione e la voglia di condividermi con gli altri. 

Che ne pensi della città da un punto di vista fotografico?

Visto che è una domanda che mi mette veramente in crisi ti risponderò cosi:

  • C – Secondo me, questo qui è un classico ingorgo a croce uncinata.
  • B – Dottò Patrizia è all’ottavo mese. Tra un mese nasce il bambino… Io potrei pure farla tornare giù per il parto. Lei cosa mi consiglia? Questo bambino lo faccio nascere a Napoli o a Milano? 
  • C – Il nipote del professor Bellavista, non può che nascere a Napoli!
  • B – Si però se uno sui documenti tiene scritto” Nato a Milano”, secondo me trova più facilmente lavoro… È vero?
  • C – Noooo…Non è per niente vero. Se guardiamo i documenti di quelli che lavorano a Milano, scopriamo che sono nati da per tutto fuorché lì. Piuttosto come la mettiamo con le sue teorie? Eh? Se il bambino nasce a Milano gli cambia il carattere e lei rischia di avere un nipotino che invece di essere un uomo d’amore, è un uomo di libertà. O sbaglio?
  • B – Io non ho mai detto che un uomo d’amore deve nascere per forza a Napoli. Lei per esempio è un classico uomo d’amore nato a Milano. 
  • C – Grazie molto gentile. Ma sa, l’ambiente dove uno vive influenza il carattere e se il suo nipotino cresce a Milano, è condannato. Sarà milanese. 
  • B – Sia chiaro: Io stimo e apprezzo i milanesi. Li trovo come dire più concreti.. persone più civili.
  • C –Cos’è che fa quello liiiì? Ueeè Piiirla! 
  • B – Ciò nonostante… in questo mondo del progresso, in questo mondo pieno di missili e di bombe atomiche… Io penso che Napoli sia ancora l’ultima speranza che ha l’umanità per sopravvivere!
    … MADONNA CHE TRAFFICO!
Alessandro Tione
Alessandro Tione
Alessandro Tione laureato in Scienze dei Beni Culturali, studio Management del Patrimonio Culturale e Fotografia. Appassionato di "Street Culture" , Cinema e Arte.

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