Il 29 aprile usciva Black Pulcinella, l’ultimo album di Clementino. Un lavoro composto da 15 tracce e tanto rap!
Il rapper partenopeo è un’icona del genere e con questo nuovo album ha riconfermato il suo status. Senza alcun freno Clementino ha dato spazio alla sua persona, alle sue paure e a tante punchline, su di un tappeto musicale che guarda al passato seppur in chiave moderna.
Innanzitutto grazie per l’opportunità. Vorrei iniziare con un collegamento al passato recente. In Strade Superstar dicevi “e anche se abbiamo un età, ancora una lacrima”. Che emozione ti dà uscire con un album oggi?
Uscire con un album è sempre come uscire con un figlio, perché la musica, i dischi che facciamo, sono figli nostri quindi è chiaro che sia un’emozione importante. Quando senti delle canzoni che parlano del tuo passato e/o sono introspettive, comunque una lacrima scende sempre perché ti ricorda tutto quello che hai fatto per arrivare fino a qui.
Soffermandoci sul tuo ultimo lavoro ho come la sensazione che avessi tanti sassolini nelle scarpe da doverti togliere e che non sia finita qui. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Ho cercato di fare l’album più hip-hop di tutti i miei album, ne ho fatti quasi 12 tra solista, in collaborazione e mixtape. Sicuramente posso affermare che questo è il mio album più hip-hop di tutti e come sappiamo l’hip-hop è fatto di dolore e punchline e di verità, quindi è quello che io ho messo in questo disco.
Nel brano La Belva Umano dici: “Il successo non è come credevo, sì, ma sono vivo, almeno questo”. La tua è una carriera lunga e come spesso dici hai fatto il Vietnam, cosa ti aspettavi ed invece cos’hai trovato?
Quando sei ragazzino e pensi al successo, pensi che tutto vada bene, che sia tutto rosa e fiori. Il successo, il red carpet, le stelle, le superstar, etc. Invece, si può arrivare al successo ma il problema è mantenerlo e quindi quando io, i primi periodi, sono diventato molto popolare, non ho saputo gestire la fama. Ho avuto un passato turbolento, soprattutto in quei periodi, rischiando la vita. Quando dico “almeno sono vivo, almeno questo, il successo non è quello che credevo” voglio dire che sono riuscito a scamparla. Adesso sto bene e voglio lavorare con la mia musica, con la tv, con il cinema e con tutto quello che ho sempre desiderato fare.
Parlando di successo hai dato spazio ai giovani più in voga degli ultimi anni, cosa hai imparato lavorando con loro e quali sono (se ci sono) le differenze fra questa generazione di artisti e la tua?
Mah, io sono molto contento di aver lavorato con i ragazzi più giovani specialmente in questo album dove, tutti i featuring, sono più giovani di me. Loro sono forti, hanno una voglia di fare pazzesca. Sicuramente la differenza è che sono più veloci di noi. Noi all’epoca eravamo molto lenti, superficiali, anche perché eravamo pochi. Adesso invece, essendo tanti, è una sfida a chi arriva più in alto. Poi con il periodo dei social e la musica usa e getta etc..è tutto così veloce. Io sicuramente noto una differenza abissale tra prima e dopo. Prima dovevi registrare il tuo pezzo, mandarlo alle case discografiche sperando che arrivasse subito tramite posta, invece adesso con i mezzi della tecnologia attuale riesci a fare una canzone, il video e metterlo su internet tutto lo stesso giorno. Sicuramente questa è la differenza: è che adesso arriva tutto e subito.
Nella produzione di Univers è possibile notare un mandolino che crea un’atmosfera prettamente napoletana ed Hip-hop, non sempre comune. In generale, ho come la sensazione che si cerca spesso di copiare il sound americano piuttosto che cercarne uno proprio, legato anche alle proprie tradizioni (come in Univers per l’appunto), come mai secondo te?
Sono sempre stato a favore dell’originalità: non mi è mai piaciuta la copia della copia. Se io sono napoletano devo portare avanti quel sound che è del “Neapoletan Power” di Pino Daniele, di Enzo Avitabile e di James Senese. Ho sempre cercato di fondere le cose e tirare fuori l’evoluzione di Clementino e non la copia della copia. Semplicemente questo.
In un vecchio documentario (Napolizm) racconti della tua passione per l’Hip-hop, ad oggi com’è la scena? Graffiti o Break non sembrano così uniti come una volta al Rap.
Io sono sempre stato super appassionato della musica hip-hop e ho visto crescere tutta la scena: ho visto la scena rap/hip-hop, la scena rap/raggaeton, poi è arrivata la scena rap/trap e ora stiamo vedendo la scena trap/drill. La storia è sempre la stessa: ne escono 20 e di questi 20, 5 sono forti e vanno avanti negli anni. Gli altri rimango indietro. Escono sempre tanto ma poi solo i più forti rimangono e vanno avanti.