Jorit: l’arte dell’equilibro tra pigrizia e rivoluzione

Viviamo in un mondo dove le opere sono quasi interamente patrimonio dei privati, ma, grazie alla resistenza dell’arte urbana possiamo ancora godere di una bellezza a portata di strada.

Ho parlato con Ciro Cerullo, in arte Jorit Agoch, di quelle cose di cui si chiacchiera di solito quando non si ha nulla di preciso da dire. E con le quali alla fine si dice tutto.

“Pigro”.                                                                                                                                                                      

Questa è la risposta che mi ha dato l’artista che sposa colori forti e volti iconici quando gli ho chiesto di descriversi con una parola. La sua voce è calma, decisa, rilassata.

Pigro, mi sono detta.

Come può definirsi pigra una persona che realizza murales che vanno dai 15 ai 100 metri, che ha girato più di 10 paesi diversi per dare vita a decine di opere d’arte?

Sfoglio la mia agenda, vedo più domande di quelle che riuscirò a formulare:

Se ti dovessi fare un autoritratto, in che città lo faresti?
Non termino la domanda che ride quasi imbarazzato, accennando un “no”-
Perché?
Non lo so, mi sembra un po’ troppo autoreferenziale. 

-mi rendo conto di aver dato per scontato qualcosa che a quanto pare, manca-

Allora mettiamola così, se qualcuno dovesse farti un ritratto, dove vorresti che te lo facesse?
Sicuramente il mio luogo del cuore è Quarto Officina, dove sono cresciuto e ho cominciato ad inseguire il sogno dei murales.

-chissà a che età spuntano i sogni-

Una cosa che colpisce soprattutto i più piccoli sono i colori e la grandezza delle tue opere. Se potessi regalare qualcosa proprio ad uno di loro, cosa sarebbe?

Sai, io non sono molto legato agli oggetti, anzi ne sono fin troppo distaccato, questa è una cosa che mi recriminano sempre le persone che mi sono vicine.

C’ho sta fissa di non comprare cose materiali. I vestiti e gli oggetti non mi sono mai interessati. Anzi, sono stato sempre avverso all’idea anche a Natale. I regali li faccio solo per usanza, per non sembrare un pazzoide. Mi adeguo.

Un regalo però non deve essere per forza legato al materialismo.
Allora i viaggi sono la cosa migliore per un ragazzino, ti danno una visione generale della realtà. Un viaggio che suggerirei è proprio negli Stati Uniti, ma non nelle zone turistiche, bisogna vivere la città. Non dico Stati Uniti per una questione di bellezza paesaggistica o che altro, ma perché sono il futuro.

É il paese che detta le regole che riguardano il resto del mondo, almeno per i prossimi anni.

Io ci vado proprio per capirla, se capisco le cose lì, capisco il mondo, con tutte le sue contraddizioni. Andarci per capire quella mentalità e decidere poi se ci sta bene oppure no.

-le decisioni non sono altro che le figlie del dubbio-

Qual è invece la domanda che ti poni più spesso?

Ma esistenziale? -si ferma- Beh, ti direi che riguarda l’ambito lavorativo. Che poi per me non è mai stato solo un discorso lavorativo, ma riguarda proprio la base di me stesso.

Per tanti anni ho fatto solo questo. Fino ad un certo punto nella mia vita il personale non è mai esistito. Per me vale molto l’idea di giustizia, mi chiedo spesso se quello che faccio è giusto oppure no. Ma non c’è solo la questione di ciò che è giusto.

Ad esempio, se faccio KRS-One a New York, agisco in un ambito in cui posso dire qualcosa ad un pubblico più ampio. Il messaggio è più “diluito”, ma sicuramente più esteso. Questo è un po’ il mio dubbio: vado in maniera –si ferma di nuovo- meno forte da un punto di vista ideologico? Agisco in un modo che mi dà meno soddisfazione, ma che allo stesso tempo raggiunge più persone? Oppure no?

Quindi non ti sei ancora dato una risposta?

La risposta me la do di volta in volta, dipende dal caso, cercando comunque di rimanere coerente.

-mi chiedo poi, oltre ai dubbi interiori, come un artista possa convivere con le incoerenze che lo circondano-

Visto che ti occupi esattamente del contrario, hai un parere sul tema dell’arte digitale?

Beh, questa è una questione che non riguarda solo l’arte, ma l’essere umano. Io non so dare una risposta.  O meglio, forse la so dare. Ma è talmente triste che è meglio non darsela.

L’essere umano è un animale tecnico, così almeno diceva il filosofo Emanuele Severino. Al digitale sicuramente mi sento contrario per istinto, perché penso ci sia qualcosa di strano. Noi siamo legati al corpo.

Ad esempio, mi chiedo sempre se essere sui social è una contraddizione oppure no, e a volte capisco che lo sia. Io dipingo, e l’atto di dipingere sul muro è la cosa meno digitale che ci sia, i murales sono fatti per essere vissuti dal vivo, per stare in strada. Su internet diventa semplicemente un insieme di informazioni, ma non è la stessa cosa.

-l’artista spesso è come un ventriloquo- 

Tutti i tuoi guerrieri hanno la bocca chiusa, nonostante questo comunicano con chi li sta guardando. Se tu potessi urlare qualcosa per farti sentire da tutti, quale sarebbe?
-tentenna, ma poi con voce decisa- In questo momento secondo me il compito storico più importante di chi lo ha capito, è evitare che l’umanità faccia qualcosa che porti alla distruzione di una parte importante di se stessa.

L’Occidente ha una tendenza colonialista e anche il pensiero delle masse purtroppo si forma su questa tendenza. Ci sentiamo in diritto di entrare nelle vicende dei paesi di tutto il resto del mondo. In questi conflitti e nelle guerre future non si può avere questo atteggiamento: c’è bisogno di capire che la guerra non è una cosa lontana, sono meccanismi non controllabili, che possono sfuggire di mano da un momento all’altro.

Se le cose andranno bene è solo perché ha prevalso la razionalità e non l’irrazionalità del capitalismo.

Urlerei: “Pace”.

-a proposito di irrazionalità-

Mi descrivi Napoli in 3 parole?

-ripete la mia domanda due volte, poi, scandendo le parole una ad una, mi dice velocemente, compiaciuto-

La mia casa.

Invece la Napoli che vorresti?                                                                                                                                                – è più lento, riflessivo, solenne-
Ribelle, rivoluzionaria e orgogliosa.

Tra queste 3 parole, quale pensi sia quella che ti rappresenta di più?
– il tono della sua voce si abbassa-
Non lo so, non so se ci sono tra queste tre parole.

Allora quale delle tre cerchi di essere?

-non finisco neanche la domanda-
Rivoluzionario, sicuramente.

-parliamo quindi di scelte-

Cosa pensi del cinema? Hai un film preferito?

Beh, è impossibile da dire, è come chiedere quale sia il mio quadro preferito. Mi piacciono i film fatti bene. Ti direi qualche film di Gian Maria Volonté, ma non so, ce ne sono talmente tanti … Il cinema è un po’ come la pittura, c’hai uno spazio e devi riempirlo nel migliore dei modi possibili.

Anche se la pittura è decisamente inferiore al cinema: è più limitata, agisce in ambiti diversi. Può nascere qualcosa da un’opera, ma è tutto ciò che ci cresce intorno ad essere molto fortte, con il cinema puoi dire molto di più.

Ci sono film che servono solo a far trascorrere il tempo, in altri invece ogni inquadratura è un mondo, nel cinema ci sono vari elementi, la musica, le immagini, i dialoghi. Può avere mille libri all’interno. Poi ci sono proprio gli esseri umani che si muovono nello spazio e nel tempo, con le loro espressioni, tutte cose che la pittura non ha contemporaneamente in sé.

Ad esempio a teatro il palcoscenico è un limite, per dirti, mica ci puoi zoomare. Il cinema invece è come se ti facesse vivere una vita diversa, un mondo diverso e lo vivi nell’interezza, senza niente intorno. Non è paragonabile. E lo dico a mio discapito.
E’ quasi legato alla magia, ti fa entrare in certi mondi, ma allo stesso tempo è anche alienante.

Questo poi dipende dal diverso modo di vedere le arti
-ride, ironicamente-
Ma che poi cos’è l’arte? Non si sa manco cos’è.

Ah, guarda, questo non lo so, per questo ne sto parlando con te, per capirlo un po’ di più.
– è divertito- Se vuoi delle risposte non va proprio bene, perché di risposte non ce ne stanno.

Rido anche io: “non voglio necessariamente delle risposte, mi bastano delle nuove domande” ribatto.

Spesso ci rivolgiamo agli artisti per districare dei nodi, ma quelli bravi non fanno altro che crearne di nuovi. Ciro mi ha detto di essere pigro. Ci sono uomini ai quali però un’etichetta sola non basta. Forse.

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