Parlare di musica è un’impresa ardua, troppo spesso; ciò accade specialmente quando la si vuole ingozzare di messaggi, manifesti ed etichette complesse.
Penso a questo ogni volta che ricordo le mani di mio nonno porgermi un paio di cuffie e mettere su una cassetta di MC Eith. Come mi faceva sentire quella canzone lo ricordo ancora, ogni volta che penso allo sguardo accigliato ed indagatore dei miei zii scrutare ogni singola emozione sul mio viso. Io proprio non ci capivo niente, eppure “Smooth Operator” di Big Daddy Kane resta il mio inno alla vita – grazie a quei momenti.
Nasciamo con la musica; viviamo sulle note di così tanti brani; ogni nostro momento è scandito da melodie e suoni, ritmi e vibrazioni. La musica è, ed esiste così com’è – col suo potere indescrivibile e così ricco di sfumature. Quando parliamo di patrimoni musicali ci esprimiamo a proposito della nostra storia, definiamo le mode ed avviciniamo le culture; a tutti gli effetti, ascoltare un brano è una rivoluzione che, imperterrita, si ripete e si propaga.
La musica è un’esperienza, solitaria o collettiva; è espressione vivida e suggestiva. Attraversa le membra; crea e distrugge, rievoca e cura.
Penso a questo, mentre, con Andrea, attraverso il Centro Direzionale a Napoli, per incontrare il collettivo “Ki Nameless Bi” – acronimo in lingua wolof-inglese di “Eccoli, i senza nome”.
In lontananza vediamo un gruppo di ragazzi giovanissimi muoversi, parlare e scattare foto.
Ci presentiamo, sorridenti; strette di mano ed altri convenevoli non bloccano un flusso d’energia inarrestabile ed indefinito, che ben si manifesta negli sguardi dei componenti del collettivo.
Genkah, GEA, Yusbwoi, Doppy Gee, Mozeh K, Sir X Samba, Thieuf ed i producer Dott. Hope e Fox sono emozionati ma, estrosi, desiderano raccontarsi, oltre ogni storia d’integrazione e più in là rispetto ai confini, imposti dalle narrazioni comuni.
“Vogliamo spaccare” mi dice, ridendo, GEA, replicando alla mia proposta di immaginare un titolo sulla copertina di un giornale a loro dedicato.
Proviamo, in gruppo, le combinazioni di varie intestazioni; è un bel gioco, che mette in risalto le reali intenzioni comunicative di questo collettivo, così denso di esperienze.
Sono due le parole che sempre si stringono e perfettamente s’incastrano, in vari modi: davvero continuamente sento pronunciare i termini “famiglia” e “rivoluzione”. Sono sorpresa, ma non troppo, poiché percepisco la fame di rivalsa che caratterizza ogni singolo artista all’interno di KNB.
“One body, siamo un solo corpo” – mi ripete Sir X Samba, rapper e padre gambiano – trapiantato a Napoli e fortemente legato a questa città. “Napoli è la mia casa – racconta – Napoli è la nostra culla e loro sono la mia famiglia.”
Mentre ci racconta la sua storia – tratteggiandola attraverso le hit che hanno caratterizzato la sua vita, da “The World Is Yours” di Nas ai pezzi di Franco Ricciardi – mi spiega che, insieme al suo gruppo, sente di non avere limiti.
“Limitless” è anche la splendida energia di Gea, che stento a descrivere e che meglio rappresenta il miscuglio di generi musicali targato “Ki Nameless Bi”.
“Gea è tutto” – dice Genkah, a proposito della collega ed amica – è un’onda energetica fantastica, innanzitutto. È flow hip hop, è afrobeat, è dance hall…è tutto.”
Gea ci sorride ed annuisce, spiegandoci l’importanza di un progetto che vuole portare alla ribalta i movimenti underground del sud, unendoli ed evidenziandoli nel rispetto singole individualità.
“Questo progetto è diverso e si distingue dagli altri, affini per sonorità” – ribadisce la rapper napoletana – “vogliamo mettere in luce le culture underground di Napoli e sottolineare la necessità di unire le realtà che caratterizzano le città dense di connessioni culturali ed etniche, come quella partenopea.”
Napoli, difatti, è un porto multietnico all’interno del quale movimenti d’ogni tipo trovano espressione genuina; ogni sperimentazione, in questa città, trova la propria dimensione. A Napoli v’è terreno fertile per l’arte che, attraverso un complesso e fitto sistema di radici, cresce rigogliosa e selvaggia.
“Da quando ho un figlio ho capito che ogni momento è buono per realizzare i propri sogni” – racconta Genkah, ballerina, rapper e scrittrice – “questo è il mio sogno, e lotto ogni giorno per realizzarlo, con loro.”
Si racconta nei suoi pezzi Genkah, giovane donna e madre del piccolo Malik, al quale dedica ogni suo gesto, anche il suo canto.
Inizia proprio a cantare, mentre ci parla di una piccola Martina, cresciuta tra le strade di Secondigliano, tra i cui marciapiedi rimbombavano suoni underground incredibili.
Erano gli anni dei Co’ Sang e dei Fuossera e l’hip hop cominciava ad imporsi, tra le vie polverose e brucianti delle periferie napoletane; “Chi more pe me” del duo di Marianella e “Spirito e Materia” dei Fuossera entrano nelle case dei ragazzi di Napoli, che si ritrovano protagonisti della stessa esperienza, figuranti della stessa storia.
“Sono nata con l’hip hop nelle orecchie, mentre Napoli e le periferie si riempivano di fenomeni musicali e culturali unici, come le jam” – racconta la giovane madre – “da lì nasce la mia passione per la danza, nel segno di un’unione con la musica che mi contraddistingue, nell’anima e nel corpo.”
Quello di KNB è un reale manifesto – che si propone di svelare la pelle e le ossa di un movimento rivoluzionario, esistente a Napoli da varie generazioni e qualificato da un’infinità di influenze.
Il collante, all’interno di questo cocktail di stili e melting pot di storie e ritmi incredibili è Thieuf, un produttore senegalese che ha saputo accogliere, sotto al suo tetto, artisti e talenti.
“Grazie a lui siamo qui” – confermano tutti – “ci ascolta mentre ci esprimiamo e sa come plasmarci.”
È imbarazzato Thieuf dall’amore del suo collettivo, da quelle parole che sembrano abbracci. Gesticola, mentre assicura che la potenza di tutto il suo gruppo sta nel sapersi conoscere e bilanciare, con empatia – proprio come accade in una famiglia vera.
“La musica è tutta la mia vita, e solamente grazie a lei ho potuto dar voce a me e agli altri, creando connessioni preziose” – dice, indicando gli altri – “il mio studio è una casa per chiunque abbia talento. Così era in Senegal e così è, soprattutto, a Napoli.”
Poche parole bastano a restituirci l’immagine di un bambino, nella sua casa in Senegal, seduto tra i dischi e circondato dai suoni che caratterizzano l’afro-music e gli afrobeat odierni e che oggi, il dj e producer stesso, esporta attraverso la sua musica.
“Family and loyalty” – come immersi in una preghiera, reiterano Thieuf e Sir X Samba – “io mi sento parte di un grande abbraccio, non è una questione di musica, unicamente…è un fatto proprio umano, che i nostri suoni sanno ben designare – com’è dimostrato dal nostro album.”
La cultura hip hop si è sempre accompagnata ai vari volti di Napoli e delle sue periferie, come una corona di spine. I suoni stessi, però, si evolvono ed egualmente lo fa il nostro modo generale di percepirli. A questo proposito, non è un caso che brani dancehall ed afro siano ormai parte del nostro vissuto musicale a tutti gli effetti – come lo dimostra l’immenso successo che riscuote “LIT Afrosound”, il party dalle irresistibili afro-roots aperto a tutti.
“Questo tipo di musica è per tutti, abbatte le barriere e gli indugi sociali” – rivelano Genkah e Gea – “non è un caso che proprio ai party si aprano cerchi continuamente, nei quali chiunque è libero di esprimersi danzando come meglio crede, perché questi suoni sono reali vibrazioni che ti attraversano e ti trascinano, senza alcun freno inibitorio.”
Dopo qualche aneddoto su fashion e lifestyle e qualche lezione di streetwear, intravediamo in lontananza Doppy Gee: il gruppo esplode, con entusiasmo, nell’accoglierlo. Scopriamo che dietro le sue “ghetto rhymes” taglienti si nasconde una personalità discreta, dedita al lavoro più d’ogni altra cosa. “Scrivo di ciò che sono” – ci dice – “ti parlo di quello che ho vissuto. Mi credi perché sono autentico.”
Nella strenua ricerca di un messaggio da convogliare ad ogni costo, l’autenticità si rivela l’unica risposta all’interrogativo che, retoricamente, ci siamo posti all’inizio di quest’incontro: cos’è la musica?
La musica è l’esperienza più potente che esista; connette i poli ed incolla le persone – seppur distanti, in ogni scrematura di significato appartenente a quest’ultimo aggettivo.
Le melodie sono magmi incandescenti che occupano ogni spazio, creando ponti; per questo, e per innumerevoli altri motivi, il messaggio che trasmette un brano sta proprio nell’emozione che sentiamo e percepiamo.
Da un polo all’altro, tropico per tropico, è l’amore per la musica a renderci la comunità globale che siamo.