Edoardo Florio Di Grazia è un cantautore originario della Costiera amalfitana, di famiglia napoletana nato a Firenze. La sua musica è un viaggio, un’esperienza che unisce mondi lontanissimi creando paesaggi immaginari su cui sognare. Edoardo, pur essendo residente a Parigi, mantiene strette le sue radici partenopee. Mi confessa inoltre che la musica per lui è “solo” una conseguenza dove la sua visuale del mondo accumulata negli anni è fonte di ispirazione quotidiana. Ho avuto il piacere di ascoltarlo tramite l’emittente parigina France Inter ed è stato amore a primo ascolto. Il sound ricco di sfumature territoriali che usciva dalle cuffie mi ha subito rapito. Detto fatto, la curiosità mi ha spinto a conoscere meglio il suo vissuto e la sua scrittura.
Costiera, Napoli, Firenze e Parigi: com’è cambiata la tua concezione di casa? Quanto questi spostamenti influenzano la tua musica?
Essendo nato a Firenze da una famiglia stabilitasi precedentemente a Napoli ma di origini della Costiera e avendo perso mia mamma due anni fa – nel bel mezzo della registrazione del mio primo disco – tutto il concetto che ho sempre idealizzato di riparo ma soprattutto di casa è improvvisamente crollato.
Ragionandoci su, mi è sembrato giusto trovare una nuova definizione di dimora che ritrovo principalmente nelle mie passioni, nella mia anima ma anche nello sguardo rispetto al mio vissuto come cito nel singolo “Indossare il Mare”.
Mi racconteresti qualcosina in più di questo singolo?
Tra le mie tracce preferite, Il tutto in collaborazione con brunopatchworks dei Voilaaa Sound System che reputo collettivo incredibile. Il mare rappresenta il concetto di anima e forse di casa. Una zona di comfort a cui affidare il nostro inconscio.
Dopo la perdita della mia amata madre ho ritrovato le risposte che cercavo proprio in questo brano. Quindi: “ascoltare il mare per ingannare la follia” di una vita talvolta fin troppo pragmatica. Mi piace ricordare Daniele Pace degli Squallor che è stato grande fonte di ispirazione e incoraggiamento per riuscire a trasformare questo dolore in libertà e creatività – che se riesci ad esternare verso i più – lo trasformi in messaggio di apertura e di ricostruzione.
Com’è nata la collaborazione con il fotografo documentarista londinese Sam Gregg che ha inoltre contribuito alla realizzazione della cover del tuo primo album “Ambra e Corallo”?
Anche se il mio accento mente, le mie radici portano sempre a Napoli: napoletano a Firenze, fiorentino a Napoli ed italiano a Parigi. Uno sguardo straniero, quello di Sam, che stimola ad una curiosità sconfinata e priva di stereotipi. La prima volta che ci siamo incontrati ho pensato: “cazzo, lui si che mostra la Napoli senza filtri!”.
Sam è stato capace di trasportarmi in luoghi come il Pallonetto di Santa Lucia, il Rione Sanità e Poggioreale ed è li che ho conosciuto persone di rara fattura in case, pescherie e bassi che ci hanno ispirato per la realizzazione della cover. L’ampiezza di una vita di quartiere nel cuore pulsante di Napoli che ospita ed accoglie l’ignoto con passione e curiosità. Due cose ci accomunano in particolare: l’amore per questa terra ed un innato senso di appartenenza.
Com’è nato invece, il progetto identitario che hai sviluppato con la label parigina Comet Records?
“Il co-fondatore e artist manager dell’etichetta Eric Trosset saprà sicuramente darti una risposta esaustiva” (scherza). In effetti, tutto nasce dalla bellissima e fortunata conoscenza con Tony Allen (primo resident artist della label) e dal mio approccio del tutto casuale con la Francia; in particolare Le Canon: villaggio sul mare vicino Bordeaux. Posto incantevole dove si coltivano le ostriche e dove ho iniziato a scrivere le prime canzoni in francese.
Una sera mentre ero a cena con Tony – tra gli incontri più fondativi della mia vita – conobbi Eric, che essendo informato delle mie origini partenopee, mi chiese consigli sul territorio lasciandomi i suoi contatti.
Successivamente ed avendo canzoni accumulate nel cassetto, mi proposi alla Comet e, con immenso orgoglio, la mia richiesta fu soddisfatta. Ricordo ancora il momento della firma dove Eric – innamoratosi del progetto – mi chiese di poter visitare i luoghi a me cari. Proprio in quel momento nacque la nostra collaborazione, che tra le tante idee, ci ha visti impegnati ad esplorare il mondo dietro il nostro primo album attraverso una piccola serie docu-beats alla scoperta del territorio e della religiosità pagana che ci rappresenta.
Cos’è per te Napoli?
Napoli è un luogo in cui perdersi e scoprire la sua stratificazione profonda. Tuttavia, per entrare in contatto con questa bellezza, bisogna lasciarsi andare alla curiosità dei luoghi in cui ti senti nel posto giusto al momento giusto.
Un esempio su tutti: il concerto a cui ho assistito del maestro Marcello Colasurdo alla festa della Madonna delle Galline a Pagani. Ovviamente, o hai la fortuna di nascere in quei luoghi o devi essere spinto da un forte desiderio che ti conduce alla scoperta di queste tradizioni secolari. Una bellezza arcaica che non smette mai di stupire e di rinnovarsi.
Ho sempre subito il grande fascino della natura, della mitologia e della temporalità. Napoli, credo rappresenti tutto ciò; questa sorta di equilibrio tra il mondo contemporaneo e quello antico che continua a generare bellezza. Penso inoltre che il territorio viva da protagonista il più grande tabù dell’epoca contemporanea: l’aldilà.
Laureatomi con una tesi sulla morte dei santi nel Medioevo ed essendo sempre stato affascinato dall’argomento – come mezzo di cultura – Napoli per me è tuttora fonte di ispirazione. Racconto un aneddoto: un amico mi ha rivelato che – in scooter e per le strade della città – sfreccia quotidianamente a 2mila pur consapevole del pericolo. Con un po’ di immaginazione, ho dato origine ad un pensiero: La città – che viaggia a stretto contatto con la dottrina della morte (vedi il Vesuvio, il cimitero delle fontanelle o l’Ipogeo dei Cristallini) – non si pone limiti comportamentali generando una vitalità totale: vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Mi piace pensare che tutto ciò è meraviglioso ma nasconde anche delle insidie che possono portare ad un male limitante per cui Napoli – a mio parere – ne risente tutt’oggi.
A microfono spento mi confessa: “Pur essendo immigrato, sogno ancora Napoli. Il progetto di una vita dove la musica è una conseguenza e Parthenope un punto di arrivo”.