L’Arte Urbana a Napoli è una pentola di ragù con tanti ingredienti: grandi facciate, tag, stickers e poster.
Se la periferia si riempie di facciate, nel caos del centro storico regnano per la maggior parte i poster.
Fra quest’ultimi è impossibile non notare le sirena e le donne di Trallalà, iconiche ed irriverenti. Chiunque abbia camminato per via dei Tribunali o zone limitrofe ne ha visto uno.
Chi e cosa si nasconde dietro questi poster? Abbiamo avuto il piacere di intervistare Trallalà, per scoprire il suo percorso e modus operandi, approfondendo un’altro aspetto della Street Art partenopea.
Prima di entrare nel dettaglio delle tue opere, vorrei partire dal tuo
background. Qual è stato il tuo primo approccio all’arte urbana?
Il mio primo approccio all’arte urbana, oltre alle immagini dei graffiti newyorchesi che si vedevano in tv già alla fine degli anni ’70, è stato l’incontro, folgorante, con le litografie che Ernest Pignon Ernest aveva attaccato in giro al centro storico di Napoli alla fine degli anni ’80, rileggendo segni e simboli della Napoli Antica.
Esiste una bella testimonianza di quel lavoro nelle foto di Alain Volut. Per me è stata una rivelazione: se oggi vado in giro con carta e colla alla ricerca di muri parlanti, lo devo a Pignon Ernest.
I miei primi lavori nascono così, fotocopie di collages azzeccate in giro.
Chi sono i tuoi artisti di riferimento?
I miei artisti di riferimento sono Pignon Ernest, per i motivi di cui sopra, e poi Jamie Reid, grafico dei Sex Pistols, re dell’estetica punk, e poi Raymond Pettibon, altro autore punk, americano, dal tratto fumettistico molto tagliente, con ricche inchiostrature, tutto in bianco e nero. A Napoli Tatafiore, e Cyop e Kaf.
Qual è il tuo rapporto con la città e la scena?
É ottimo, non me ne sono mai allontanato. Conosco profondamente la città e la amo, visceralmente, soffrendo, come chi ama una donna bellissima, sapendo di essere tradito. ho incontrato tre generazioni di artisti, oggi lavoro con ragazzi che potrebbero essere miei figli (mi chiamano Papà Trallallà, i bastardi). il mio rapporto con la scena è buono: per alcuni sono un vecchio leone, per altri un vecchio coglione.
Le tue opere si possono dividere fra Ormai e Trallalà, qual è la
differenza fra i due nomi?
ORMAI in realtà non è una firma: è una riflessione che, soprattutto per un’intuizione della mia amica Brunella, ha preso forma in questa parola, dal significato non definibile interamente. ORMAI è un lavoro di Trallallà. Il fatto che il mio profilo instagram si chiami ormai 1968 ha aggiunto confusione alla faccenda, ma non mi sembra il caso di fare chiarezza: trovo stimolante giocare con diverse identità, ragionando sull’ identità come costruzione/costrizione sociale.
Come avviene il tuo processo creativo? Ad esempio, com’è nata
l’idea della sirena, raccontaci la sua storia ed il suo significato
Il processo creativo può essere innescato da qualunque cosa : una canzone, una fotografia, parole di amici, una frase in un libro. La mente associa continuamente elementi, frutto dell’ interazione del sistema nervoso con l’ ambiente circostante. Questo crea continui rimandi, elementi che rimbalzano gli uni sugli altri. É un casino. In questo casino si affacciano ogni tanto delle immagini ed alcune di esse, per me, diventano ossessioni.
Dall’ossessione per le ciacione sono passato, quasi senza accorgermene, all’ossessione per le sirene. L’incontro con la sirena è fatale, è un rapimento. Dopo essere stato rapito, ho cercato di capire, di studiare il simbolo ed il segno. Lo sto ancora facendo.
Come e quando scegli i luoghi dove inserire le tue opere? Molto
affascinanti sono le Sirene affisse sulle barche.
Io lavoro quasi esclusivamente su muri antichi, già ricchi di segni, ai quali vado ad aggiungere disegni. I muri del Centro Storico di Napoli sono pieni di graffi, chiodi, manifesti strappati, buchi. Mi piace che i miei disegni dialoghino con elementi preesistenti, nascono dei collages, effimeri, con materiali di diversa natura. Le sirene sulle barche sono parte di un lavoro più ampio sul mare che bagna Napoli, sviluppato insieme a Giulia Pizzuti, giovane fotografa e videomaker, alla quale sono legato da profonda affinità.
Per concludere, com’è esporre al PAN, insieme a Keith Haring?
Esporre i miei improbabili disegni accanto ai lavori di Keith Haring, artista che amo profondamente, è bellissimo. Senza dimenticare il piacere di esporre insieme alla vulcanica Roxy in The Box e l’ onore di vedermi accostato al Maestro Luciano Ferrara.
Ne sono molto felice.