Nel 2012, per i napoletani e gli amanti del rap in generale, il giorno di San Valentino ebbe un solo significato: “Antonio Riccardi e Luca Imprudente, in arte Co’Sang, dopo 15 anni di collaborazione hanno deciso di dividere le loro strade artistiche sciogliendo i Co’Sang”.
A partire da allora, la centralità di Napoli nel panorama rap italiano ed europeo perse il suo punto di riferimento: il duo, infatti, vantava già nei primi anni 2000 collaborazioni sparse con l’altro leggendario gruppo italiano, i Club Dogo e, in Vita Bona (2009) si assiste alla partecipazione, nelle tracce “Casa Mia” e “Rispettiva Ammirazione” dei rapper francesi Monsi du 6 e, soprattutto, Akhenaton, parte degli IAM.
Da quel momento iniziano anni in cui è difficile pensare a Napoli come una delle capitali d’espressione artistica sottoforma di musica rap dialettale: vi sono principalmente i progetti individuali di ‘Ntò e Luchè e la coppia composta da Rocco Hunt e Clementino a mantenere la barca a galla prima della rivoluzione trap del 2016, che pure vedrà in Enzo Dong e nel suo stile ultraenergico e dirompente uno dei suoi principali artefici e portavoce.
Tuttavia, in tutti questi esempi menzionati la componente dialettale è sempre ben presente, ma mai centrale: Napoli c’è, il napoletano anche, ma più che base dalla quale ripartire somiglia a un plus per i vari artisti, capaci di esprimere il proprio estro anche in un’altra lingua, non necessariamente ponendola al centro dei propri progetti. È a partire dal 2018 che, complice soprattutto l’ascesa di Geolier e la sua prepotenza nell’affermarsi in modo totalizzante, Napoli e il napoletano tornano definitivamente alla ribalta nel panorama musicale rap e non solo.
Eppure, qualcuno che aveva anticipato i tempi c’è stato. Sulla scia del collettivo 365 MUV e come anticamera della recente SLF, nel 2016 Vale Lambo e Lele Blade traducono in instant cult le produzioni di un giovane Yung Snapp e consegnano ai club, agli appassionati e all’intera scena una ventata di freschezza che fa della lingua napoletana il suo punto di forza, come non accadeva da ormai qualche anno.
Grazie all’appoggio dell’etichetta Dogozilla Empire, viene rilasciato l’album El Dorado, inizialmente in versione standard e poi in versione deluxe con quattro tracce aggiuntive (2017), come primo e unico progetto sotto il nome di “Le Scimmie”.
Con chiara ispirazione ai PNL francesi, ritmica e barre sono in sintonia con lo scossone prodotto in quel periodo dall’industria musicale, ricalcandone vibes e atmosfere, mentre i flow utilizzati e le linee melodiche risultano essere estremamente innovativi e catturano l’attenzione del panorama italiano.
La versione deluxe dell’album presenta un totale di 15 canzoni con 5 featuring di livello (Jake la Furia, Izi, Ntò, Vegas Jones, Clementino): dalle leggere “Pronto chi sij?” e “M.o.e.t.” si spazia fino alle crude e iconiche “We We” e “Mia”, vere e proprie cronache melodiche di dinamiche di strada, in uno stile che abbina produzioni quasi ascetiche e rime brusche, creando l’ambiente ideale per intraprendere un “viaggio”, un mix fino a quel momento mai sperimentato in Italia. Il merito innegabile di questo lampo nel panorama musicale è quello di aver compreso e sfruttato a pieno, con anni di anticipo, le potenzialità artistiche e melodiche del napoletano, portandolo all’interno della scena nazionale svincolato della sua necessità di presupporre “Poesia Cruda”.
Dopo tanti anni, si assiste a un progetto musicale interamente in lingua napoletana che riesce ad entrare nell’immaginario collettivo di una generazione a livello non più solo locale: questa volta, però, l’iconicità deriva non dalla crudezza delle barre e delle tematiche sociopolitiche trattate, bensì dalla capacità di introdurre novità melodiche e linguistiche in una fase di forti cambiamenti per l’intera industria.
Con le sue ambientazioni al limite del mistico e i flow storici di Vale Lambo e Lele Blade, El Dorado è l’anticamera dell’inizio di un periodo particolarmente fruttuoso per il rap partenopeo, iniziato con i progetti immediatamente successivi dei due artisti del gruppo (“Angelo” e “Ninja Gaiden”) e culminato con la presenza al Festival di Sanremo di Geolier, a 7 anni di distanza. L’industria musicale ha ormai ben compreso le possibilità offerte dalla lingua napoletana: con gli stessi Geolier e SLF, senza dimenticare Luchè e la sua BFM, il suo utilizzo è ormai sdoganato a livello nazionale e non costituisce – quasi – più un tabù. Tuttavia, se la situazione oggigiorno è così florida, è anche a causa dei suoi precursori, coraggiosi nell’osare e nel rivendicare appartenenza in un momento non propriamente facile per l’intero ecosistema musicale partenopeo.
Le Scimmie e la loro attitude sono state l’equivalente di un fulmine: rapido ed estremamente incisivo, nel mezzo della tempesta. El Dorado, invece, costituisce un instant cult, un album manifesto di quello che i tedeschi chiamano “Zeitgeist”, lo spirito dei tempi, l’aria respirata nella Napoli musicale e dintorni a cavallo tra 2016 e 2017: irriverente, vogliosa di ribalta, innovativa. In una parola, iconico.