Sanremo è, nel bene e nel male, l’evento musicale più importante d’Italia. Ogni anno, il Festival diventa lo specchio della scena musicale contemporanea, un riflesso di ciò che funziona nel mercato e di ciò che viene imposto dalle dinamiche dell’industria. Peccato che, se la musica evolve, lo spettacolo resti fermo.
Lo show televisivo che accompagna le esibizioni continua a essere intrappolato in una formula che sa di vecchio, tra battute forzate e momenti di intrattenimento che faticano a restare al passo con i tempi. Gli artisti provano a reinventarsi, ma la struttura rimane quella di sempre.
L’hip-hop a Sanremo: c’è ancora strada da fare
Se dobbiamo guardare al rap e all’hip-hop, quest’anno due figure si sono distinte in modo particolare: Shablo e RoccoHunt, ma un applauso lo merita sirucamente anche Willie Peyote, sempre autentico.
Shablo, ha portato sul palco la più classica autocelebrazione nel mondo del rap, con un ritornello orecchiabile, merito anche della voce di Joshua, e con le strofe di Gue e Tormento ricche di stile.Rocco Hunt, invece, ha proposto un sound mediterraneo che rappresenta la sua firma, la giusta evoluzione riavvolgendo il suo percorso.
Tuttavia, il momento più significativo per la cultura urban è arrivato nella serata dedicata agli ospiti.
Ascoltare sul palco dell’Ariston ‘O Mare e ‘o Sole per chi è cresciuto nel primo decennio degli anni 2000 è un’emozione che va oltre ogni aspettativa. L’omaggio di Rocco Hunt e Clementino a Pino Daniele con Yes I Know My Way, intrecciato con richiami alla loro iconica Mare e ‘o Sole e alla successiva Capocannonieri, è stata la ciliegina sulla torta di due carriere costruite con sacrificio e passione.
Ancora più iconico è stato vedere artisti come Neffa e Tormento condividere il palco ponendo fine alla faida degli anni ’90, con la volontà di regalare un momento storico per l’hip-hop italiano. Entrambi, accompagnati da Shablo, Gue e Joshua, hanno cantato due fra i brani più celebri degli anni ’90: Amore de mi vida dei Sottotono e Aspettando il Sole di Neffa, un mashup su quel palco inimmaginabile all’epoca.
L’urban cresce, ma qualcosa non va
Anno dopo anno, la cultura urban guadagna sempre più spazio a Sanremo. Peccato che questa crescita non si rifletta nelle scelte delle radio e nella qualità della musica, che sembra essere schiava delle logiche di TikTok e dell’industria. I brani che ottengono maggiore esposizione non sono quelli che portano avanti un discorso culturale, ma quelli che rispondono a dinamiche commerciali precise. Poca cultura, tanto marketing. A differenza di quanto si è fatto invece in questo festival.
L’hip-hop e tutte le sfumature del rap difficilmente verranno comprese dal grande pubblico e di certo non hanno bisogno della loro approvazione. Così come l’anno scorso Geolier celebrò Brivido e ‘O Primm Ammore, quest’anno anche Shablo e Rocco Hunt hanno reso omaggio all’hip-hop, dagli anni ‘90 ai primi anni ‘10.
Questa cultura continuerà a viaggiare nei suoi binari, magari creandosi sempre nuovi spazi, ma ben venga farsi conoscere ancor di più dal Bel Paese.