Vesuvius Soul Records non è solo un negozio di dischi

Napoli è da sempre sinonimo di party, soprattutto di musica elettronica. Questo mondo è legato inevitabilmente ai vari locali e club, ai promoter e alle diverse realtà che organizzano gli eventi e ai dj che vengono ospitati e propongono la loro musica, una musica nata da una costante ricerca sviluppata online, dati i mezzi a disposizione nei giorni nostri, ma soprattutto offline, recandosi di persona nel proprio negozio di dischi di fiducia e adoperando una minuziosa operazione di “digging”.

È in questo contesto che irrompe Vesuvius Soul Records, un piccolo negozio di dischi situato in pieno centro storico a Napoli ma che dispone di una grande vastità di musica da offrire, puramente in vinile, dal funk alla disco, dall’house alla techno, offre inoltre uno spazio in cui i vari dj possono approfondire la loro ricerca musicale e allo stesso tempo anche il semplice collezionista può scovare dischi di qualità, che siano essi nuovi o usati, più o meno recenti. Vesuvius è stato fondato poco più di un anno fa da Francesco Campobasso, giovane napoletano appassionato di musica e del vinile, deciso a seguire le proprie passioni e a creare il suo personale spazio di aggregazione. Di seguito troverete la nostra intervista in cui Francesco racconta come è nata l’idea di aprire Vesuvius e dei suoi progetti futuri, come quello di fondare anche un’etichetta discografica omonima, dei propri interessi musicali, oltre che proporre interessanti spunti riguardo il mondo del clubbing napoletano.

Come è nata questa tua passione per i dischi? C’è una figura importante nella tua vita che ti ha spinto ad entrare in questo mondo, oppure è nata da una tua ricerca personale?
In realtà non c’è stata una singola persona, viene fuori principalmente dall’ambiente che ho frequentato dai tredici ai diciannove anni. Vengo dalla scena hip hop e all’epoca la posta centrale era il fulcro campano e partenopeo di questa cultura, lì si incontravano le persone più interessanti della scena: per citarne alcuni, c’era Fuossera ma anche Speaker Cenzou e l’Alien Gang che a livello musicale ed artistico mi hanno dato una buona spinta. Quindi era tutto il contesto che mi circondava che mi ha portato a questa passione perché comunque il movimento hip hop è fondato su quattro figure principali: l’MC, il breaker, il dj e il writer. Io mi sono avvicinato a questo mondo come beatmaker, in quanto tale producevo i miei beat campionando dai vinili. La cosa bella che distingue l’hip hop di ieri da quello di oggi è che il sapere delle persone più grandi era condiviso, il principio base prima era appunto la divulgazione del sapere. C’erano dunque persone più grandi che mi dicevano: “oh, sentiti sto disco pecché fa paur”. Da ciò è nato tutto.

Oltre l’hip hop, se dovessimo andare un po’ più in là con i generi, qual è quello che ha confermato questa tua passione per i vinili?
Venendo da una scuola hip hop ho un background pieno di black music, quindi soul, funk… questa musica qua. Con la breakdance poi mi sono avvicinato all’electro alla breakbeat, quindi ascoltavo Afrika Bambaataa oppure Egyptian Lovers per citarne di più famosi, che ancora oggi produce roba electro. Poi in seguito a vari incontri e vicissitudini, sempre alla posta centrale, iniziai ad andare ai primi party house, più o meno nel 2004 grazie ad una storica crew di breakers che seguivo nonostante la mia giovane età, la DBR che iniziarono a ballare ai party Angels of love. Dal funk all’house quindi, con un collegamento sempre stretto all’hip hop ovviamente (Angels of love, una delle storiche crew organizzatrice dei primi eventi house a Napoli ndr.) è stata tutta un’evoluzione.

Hip Hop Crew, Napoli
Francesco Campobasso, DBR Crew, Fuossera, El Koyote

Da giovane digger poi c’è stato questo passaggio a proprietario di un negozio di dischi. È stato un passaggio maturato nel corso del tempo oppure è un’idea nata più recentemente?
A me non è mai piaciuto chiamarlo “negozio”, è più uno spazio dove poter venire ad ascoltare musica e confrontarsi, fare ricerca, mettere a confronto diverse realtà artistiche. ovviamente uno deve fare cassa, inutile girarci intorno, quindi comunque c’è la vendita che è importante. Ma non è una cosa meramente economica, dietro ci sono comunque passioni, da parte mia c’è la volontà di condividere e scoprire musica  perché ovviamente non è detto che uno come me conosca tutta la musica, dovresti essere un robot. Io, comunque, ho sempre avuto un lavoro anche molto più remunerativo di questo, ho sempre fatto l’agente di commercio ma penso che la soddisfazione non deve essere soltanto a livello economico e ad un certo punto ho deciso di abbandonare tutto, seguire quella che è sempre stata la mia passione e quantomeno trasformarla in un qualcosa che mi permettesse di viverci. È stata anche una conseguenza del fatto che a Napoli stiamo vivendo un appiattimento culturale, non si investe più per creare punti di aggregazione giovanile dove poter fare cultura. Non ci sono proprio posti dove ti siedi e vedi un film, ti siedi e parli di arte, si stanno aprendo troppe attività commerciali non ai fini culturali. Quindi è nata pure da un’esigenza, stanno chiudendo i club, stanno chiudendo negozi di musica e librerie…

Non rimpiangi nulla del tuo vecchio mondo?
No, comunque sono rimasto nel commercio. Poi ho sempre organizzato eventi, ho sempre venduto un prodotto che poteva essere un software informatico di giorno per passare ad un prodotto musicale la sera, comunque resto un venditore. Qua vendo musica.

A proposito di serate, qua a Napoli si sta vivendo un periodo di cambiamento generazionale, nel senso che alcuni locali storici, come il Golden Gate ad esempio, stanno chiudendo e se ne stanno aprendo altri come il Basic. Tu come lo vedi questo cambiamento? A cosa è dovuto?
Allora, se i locali storici stanno chiudendo è, secondo me, perché non si sono evoluti. Costruire locali anni e anni fa, anche a livello di normativa, era totalmente diverso dal costruirne uno adesso. Ovviamente, se lo hai costruito trenta anni fa sei obbligato a fare delle modifiche, devi ristrutturare stando a passo con i cambiamenti normativi  e se non lo fai purtroppo devi chiudere. Il business è comunque fatto di evoluzione e il club è anche business. Nel caso del Golden Gate a cui hai fatto riferimento tu, la cosa buona è che era in una posizione ideale, in periferia e senza un vicinato che si potesse lamentare, è una posizione favorevole tipica dei grandi locali di ogni grande città, però ha chiuso perché non si è ristrutturato come intendevo prima, almeno credo. Se parliamo di club, purtroppo a Napoli, quelli più famosi stanno al centro storico il quale è stato da sempre un quartiere popolare ed universitario e le leggi prima erano più permissive, basti pensare che la maggior parte era registrata come associazione culturale. Ad un certo punto però la legislazione cambia ed oltretutto il centro storico sta subendo una sorta di repressione, ci sono molti più controlli siccome sta diventando un posto molto turistico e non più solo un quartiere low cost ed universitario, tutto ciò ha segnato in gran parte la chiusura anche dei club del centro.

Secondo te tutto ciò può significare un cambiamento positivo? dopo comunque l’apertura del Basic Club che ospita continuamente artisti di grande qualità e data anche la presenza sempre costante di locali come il Duel?  
Questi grande locali fanno bene alla scena “mainstream”, o comunque sono quelli che ospitano dj di un certo livello. Il club quello per eccellenza però, per me, è quello che permette di dare voce e spazio a dj che in quei locali grandi che ospitano migliaia di persone non vanno a suonare. Di questi posti in città ne sono rimasti pochissimi, forse se ne contano sulle dita di una sola mano. Uno tra i pochissimi è il Boudoir Club dove noi organizziamo serate sotto il nome di “Electronic rendez-vous”. Però c’è comunque un appassimento della scena napoletana che viveva di clubbing, Napoli è sempre stata una delle scene più fertili della storia della musica elettronica, siamo arrivati al punto che dovremmo spostarci dal centro per costruire una scena alternativa di clubbing oppure qua non riusciremo più a fare niente. Più si va avanti a chiudere club e a non costruirne di nuovi più si arriverà al punto che la scena sparirà, è una conseguenza, per forza succederà così.

Per te quindi non c’è una sorta di evoluzione?
No, anzi. Penso che ci sia un’involuzione. Però legata sempre al fatto che stanno cambiando i tempi, Napoli sta diventando un’attrazione turistica, il centro sta diventando una bomboniera. Dovremmo iniziare ad avere confini di business più ampi.

Francesco Campobasso

Da un certo punto di vista internazionale, il clubbing è qualcosa che porta turismo. Altre città, ad esempio Berlino, vivono di turismo legato al clubbing o comunque la maggior parte degli introiti dati dal turismo vengono da questo aspetto. Napoli è come se si stesse dando la zappa sui piedi secondo te?
Si, perché il mondo delle arti e dello spettacolo inteso come club e serate, a Napoli, così come in tutta Italia, non viene visto come un collante culturale, viene visto ancora legato solo alle droghe, all’alcool e stop, come se fosse un pericolo. Questo è il bigottismo che noi viviamo in Italia purtroppo, è sempre questo il punto. Tu mi devi spiegare come, in un posto come Napoli, che ha tanti spazi tipo il litorale di Baia Domizia, abbiamo avuto bisogno di Jovanotti per liberare quelle spiagge ed organizzare qualcosa? come può un imprenditore che magari organizza festival in altri paesi venire a Napoli ad investire? Napoli potrebbe vivere tranquillamente anche di turismo musicale e giovanile, come succede a Barcellona ed altri grandi città, ma non te lo permettono, questo fatto è visto sempre con timore.

Secondo te, dopo questo cambio generazionale, in futuro, ci sarà la possibilità che Napoli riesca a trattare al meglio il mondo del clubbing?
Potrebbe succedere, sì. Ma il cambio generazionale per ora è stato un po’ un trauma. È un anno e mezzo che abbiamo aperto e ragazzi di 18/19 anni ne saranno entrati al massimo tre o quattro. Uno di loro venne e mi chiese: “C’hai solo CD in Vinile?” Non sanno proprio che significhi. Il mio obiettivo è farglielo conoscere ma loro culturalmente non sanno proprio cos’è sono nati già nell’epoca della digitalizzazione, sono completamente estranei. Ci potrebbe essere un’evoluzione del clubbing, ma stiamo vivendo un crisi culturale e musicale che difficilmente potrebbe portarci ad avere questa evoluzione, a meno che persone come noi che lo hanno vissuto negli anni passati non prendano le redini in mano e inizino ad investire. Ma come fai ad investire in un posto dove non te lo fanno fare? È un po’ difficile. Quindi ti devi spostare, devi andare da un’altra parte, bisogna iniziare a concepire Napoli un po’ più larga e non limitarci soltanto al centro. Come dicevo prima i locali più belli all’estero, come il Fabric o il Berghain, per citarne alcuni, stanno in periferia o comunque in zone industriali, non residenziali. Bisogna spostarsi e avere il coraggio di investire. Ma il giovane di oggi non investirebbe mai perché il clubbing non fa parte di sé, clubbing inteso come contenitore culturale e musicale, non lo ha mai vissuto, a differenza del giovane all’estero che ha la possibilità di andare a ballare, di vivere il club e quindi sarà più portato.

L’ultimo fenomeno musicale che ha colpito Napoli sono stati i Nu Guinea che hanno avuto abbastanza risonanza anche al di fuori della città, allo stesso tempo si sono portati dietro una ventata di musica disco, funk ed elettronica che comunque è sempre stata portata in altro dai ragazzi di Periodica Records, Early Sound Recordings e altri. Cosa ne pensi? Dal punto di vista musicale dunque in che direzione sta andando la scena napoletana?
I Nu Guinea hanno portato il nome di Napoli in giro per il mondo, la loro è un’ottima musica ed hanno prodotto un buon disco però per me non è un’evoluzione, non è nient’altro che una rivisitazione di quello che già c’era. Hanno portato al mondo intero musica al passo con il trend del momento ma ciò non vuol dire che non siano bravi produttori. Mentre invece Periodica Records, con mistica Jungle, Whodamanny e Milord e altri fanno tutt’altra musica, hanno sempre fatto musica elettronica e per me loro sono una nota diversa da quella dei Nu Guinea. Portano comunque anche loro Napoli in Europa e producono dischi che vendono,  facendo la musica che sempre li ha rappresentati anche se in chiave moderna. Se poi vogliamo dirla tutta, questo fenomeno musicale napoletano lo ha portato in auge, a mio parere, una sola persona, ha quasi quarantadue anni ed è una persona che ha vissuto ed è cresciuta con la musica napoletana, ovviamente in vinile, parlo di DNApoli, è lui che ha iniziato tutto e poi a seguire vengono tutti gli altri. Il suo nome è Gianpaolo Della Noce ed è la metà di Napoli Segreta insieme a Lorenzo Sannino.

Invece, qualche realtà più fresca?
Electronic rendez-vous, ma non perché sia un progetto che ho abbracciato da poco. È una realtà di un club vero, come all’estero, di dj ed etichette indipendenti che vivono il club ma soprattutto vivono di musica. Il progetto è formato da Kris Vortex, Antonio D’Albenzio e Ferdy, poi da quest’anno ci sono anche io. È questo il party underground che si svolge nel club, dove si respira un’aria familiare e la gente viene per la musica, dove i dj hanno la possibilità di esprimersi. Principalmente cerchiamo di trattare techno anni novanta, così come l’house, senza perdere d’occhio quello che di buono il nuovo mercato offre. È tutto un riportare musica fatta tanti e tanti anni fa, ma non perché siamo persone che vivono in quel ricordo, è che concepiamo quella musica come qualcosa che ancora deve essere raggiunto, qualcosa di troppo futuristico. Ormai poi siamo già a due anni di attività e il party comunque rimane, per scelta, di nicchia, puntiamo alla qualità piuttosto che alla quantità e anche gli stessi artisti che vengono abbracciano poi questa ideologia. Per quanto riguarda invece eventi di portata maggiore, di fresco, ci sono i miei amici di Woo! E i ragazzi di Neuhm. 

Per finire, quali sono i tre dischi che non venderesti mai nel tuo negozio? da intendere come quei dischi ai quali sei talmente affezionato o sono esageratamente belli che preferiresti custodire gelosamente piuttosto che venderli.
Per un valore affettivo, il primo è Fantastic Damage di EL-P, prodotto nel 2002, il primo artista che ho amato e che mi ha avvicinato alla musica elettronica, dato anche che è uno dei produttori underground più importanti e bravi che io conosca, poi ci sta E l’amore del 1990 di Lucio Dalla nel quale ci sta anche una traccia new wave e che non cambierei per niente al mondo, infine quello che stiamo ascoltando adesso, Made in Italy di Loredana Bertè, anno 1981, io ho sempre suonato musica disco ed è stato uno dei primi dischi italiani che ho comprato e poi, è un discone. Ovviamente ce ne sarebbero tantissimi altri da citare ma questi sono i primi tre che mi vengono in mente.

Hai aperto da poco ma già ti sei rinnovato aggiungendo il bar all’interno del negozio, affermandoti già come un ottimo punto di ritrovo in pieno centro storico, che idee hai in mente per rinnovarti ancora di più? Hai mai pensato di fondare una label sotto il nome di Vesuvius?
Il posto è nato con questa idea, lo dice stesso il nome “Vesuvius Soul Records”, è tutto nato con l’obiettivo di creare anche un’etichetta, in quest’anno nuovo ci sarà la prima release, il numero “001”. Non vi dico ancora chi ma sempre e comunque roba campana perché l’obiettivo principale del negozio è promuovere e portare alla luce tutte quelle realtà campane che paradossalmente hanno più successo all’estero che nella propria città. Inizieremo quindi da artisti napoletani e tratteremo in generale musica elettronica, dalla techno all’house. 

Alessandro Canonico
Alessandro Canonico
Appassionato di street art e musica elettronica, amante di Napoli e del Napoli. Scrivo per dare voce alla cultura.

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