Incontrare Lina Simons a Milano è un’esperienza che non si dimentica facilmente.
Artista poliedrica che intreccia le sue radici tra la Nigeria e il Sud Italia, Lina rappresenta un simbolo di fusione culturale e di resilienza creativa. Trovarsi accanto a lei, circondati da una piccola folla di entusiasti concittadini partenopei, fa respirare quell’inconfondibile calore umano che solo chi è cresciuto all’ombra del Vesuvio riesce a portare con sé ovunque nel mondo. È come se Cerreto Sannita, pittoresco borgo in provincia di Benevento, stesse sussurrando al mondo una nuova musa, un diamante grezzo che non ha avuto paura di lasciare il suo nido per brillare altrove.
La storia di Lina ha i contorni di una favola moderna: a 18 anni, carica di sogni e determinazione, decide di lasciare l’Italia per trasferirsi a Londra. Qui si immerge in un mondo nuovo, tra le pagine dei libri universitari – con l’obiettivo di laurearsi in Business della Musica e Imprenditoria – e le righe dei testi musicali che scrive nei momenti liberi. Lontana da casa, Lina si trasforma gradualmente in un’artista unica, una sorta di “Nostra Majesty” partenopea, pronta a conquistare con il suo stile inconfondibile e la sua autenticità.
È un vero privilegio incontrare persone come Lina: piene di vita, capaci di sprigionare energia positiva e orgogliose delle loro origini e del loro percorso. Estroversa, con un carisma contagioso, Lina incarna un’idea di modernità che non dimentica mai le radici, ma che si proietta verso il futuro con creatività e intraprendenza.
La nostra piacevole conversazione prende vita subito dopo la sua esibizione al Festival Afrodiscendente di Milano, Blacknèss, un evento che celebra le mille sfaccettature della cultura afroitaliana. Lina, reduce da una performance carica di emozione e passione, accetta di rispondere alle nostre domande con un sorriso sincero e uno sguardo luminoso.
La prima domanda, quella più importante, diventa subito il punto di partenza per un dialogo ricco e ispirante…
“Ind’ a nu munno addò stann’ tutt’ quant arraggiate, pulizz’ ‘o core, e fa’ parlà sul ‘o talento innat’”. Cosa racconta la tua ultima traccia Nun spartì a furtun?
Per diverso tempo ho visto il mondo che continuava a trasformarsi anche se in maniera negativa. Tuttavia, mi sono resa conto che per vedere un cambiamento avrei dovuto iniziare da me stessa e dalle mie aspettative. Da quando ho accolto questo nuovo approccio, le cose sono cambiate soprattutto attorno a me. In un mondo dove spesso ci si focalizza quasi esclusivamente sulle avversità è importante mostrarsi per quello che si è, evitando di farsi sempre influenzare.
Qual’è il tuo rapporto personale con Parthenope?
Parthenope è stata letteralmente colei che mi ha concesso il privilegio di entrare in contatto con la musica sin da piccola. Non solo, con il passare degli anni mi ha aiutato ad unire passione e tradizione. Insomma, un rapporto basato su gratitudine e rispetto reciproco che specialmente per la propria terra d’origine non devono mai mancare.
Mi racconteresti della tua infanzia tra influenze campane ed africane?
Crescere con più influenze culturali ti da la possibilità di imparare ed avere sempre nuovi punti di vista e stimoli da spendere in società. In Campania ho trovato tantissima Nigeria che mi ha portato ad avvicinarmi alla cultura di mia madre. Da Castel Volturno sino alla provincia di Benevento ho avuto modo di entrare in contatto con la lingua creola di derivazione inglese Pidgin, praticare le dottrine della religione materna e infine scovare l’affascinate genere Highlife che richiama la mia passione per il funk. Ricordo con affetto quelle splendide giornate passate in famiglia dove tra un disco ed un altro si viaggiava pur restando fermi. In successione, potevamo ascoltare Vai mo’ di Pino Daniele, No agreement di Fela Kuti e poi improvvisamente vedevi sbucare dal nulla Labbra salate di Gigione. Un’infanzia incredibile direi!
Quali sono i principali pregi tra Napoli, Benevento e la più lontana Lagos?
Luoghi a me cari. In ognuna di queste città è facile trovare componenti simili tra loro. In effetti, oltre al calore e l’umanità delle persone trovo davvero affascinante la spiccata arte dell’arrangiarsi. Una costante genialità che può tranquillamente riassumersi in una frase appartenente alla popolazione Sarakollé originaria dell’Africa Occidentale riportata dal Padre missionario Oliviero Ferro: “Costui è come una liana, senza occhi arriva lo stesso al di sopra del tetto”. Queste virtù mi accompagnano tuttora nel mio percorso professionale e di vita.
Stando al Global Music Report 2024 stilato dall’italiana International Federation of the Phonographic Industry la musica africana continua a stupire. Nello specifico, l’Africa subsahariana ha avuto ancora una volta la crescita più rapida di qualsiasi altra regione del continente superando un verticale +24.5% di ricavi da streaming. Una scena musicale che prende sempre più piede grazie ad artisti come il nigeriano Rema, la maliana Aya “Coco Danioko” Nakamura o ad etichette Afrodiscendenti come Native con sede principale in UK.
Come nasce L’idea iniziale della tua traccia Afrobeat Shaku Shaku. Cosa racconta di te?
L’idea iniziale di questa traccia appartiene ad una sincera sperimentazione: un brano più romantico, più intimo, che mi riportasse alle mie origini abbracciando un fenomeno musicale come l’AB. Come artista mi sento libera di esprimermi nei più disparati generi con la consapevolezza di avere delle radici ben salde che fungono da pilastro per ogni singola evenienza.
Blacknèss Milano: che sensazioni lascia la tua esibizione al Festival Afrodiscendente?
Fantastico, super stimolante! Sempre onorata di far parte di eventi così ricchi di arte e cultura. Questi spazi sono davvero importanti per chi li frequenta: concedono costantemente ampie visuali su cui riflettere isolando al momento sentimenti come machismo, razzismo e transfobia. Inoltre, incoraggiano persone Afrodiscendenti come me a ritrovare, anche per una sola sera, le proprie radici. Spero che parties del genere non smettano mai di dire la propria.
Napoli, Sud Italia ed Africa. Ti senti in qualche modo messaggera di questi territori?
A dirti la verità non mi sento messaggera di popoli e/o territori, mentirei se dicessi il contrario; potrebbero individuarmi come tale e – pur essendone grata – faccio fatica a sentirmi parte di questa definizione. Sento invece, di essere rappresentante di me stessa e preferisco pensare di aver raccolto il meglio che i luoghi da te citati hanno tuttora da offrire.
Un punto di vitale importanza in realtà esiste: cerco quotidianamente – tramite le mie esperienze di vita accumulate nel tempo – di creare un solido legame con le persone che mi supportano e che mi vogliono bene anche perché ad oggi sono ancora in una fase di apprendimento e riflessione che al momento manifesto principalmente nelle mie tracce.