Non mi sono mai chiesto perché scattassi delle foto. In realtà la mia è una battaglia disperata contro l’idea che siamo tutti destinati a scomparire. Sono deciso ad impedire al Tempo di scorrere. E’ pura follia.
Robert Doisneau
Molti sono stati i fotografi che più volte hanno dichiarato di voler impedire al tempo di scorrere, un’utopia romantica, ma alla stregua di ogni grande impresa. Robbie McIntosh nelle sue fotografie sembra catturare oltre ai suoi soggetti tutta l’atmosfera che li avvolge, e spesso quest’elemento di secondo piano sembra divenire il vero protagonista delle composizioni.
Topographic State of Mind, ma anche Pools e What Is Lost Can Never Be Saved, sono tra le raccolte di Robbie che di più racchiudono questo senso di nostalgia, ma non solo, sono molte e diverse le serie, perfettamente archiviate sul Flickr di McIntosh, che ci permettono di apprezzare ulteriormente la sua estetica e il suo stile fotografico.
Ciao Robbie, per iniziare vorrei chiederti come nasce la tua passione per la fotografia?
Da bambino passavo ore a sfogliare gli album di famiglia. Matrimoni, vacanze, feste, gite. L’impatto con quelle immagini era sempre un’esperienza nuova e rivelatoria.
Tra i soggetti più ricorrenti nei tuoi scatti ci sono molte statue sacre, queste hanno un significato particolare per te? Come mai sono così presenti nel tuo book?
É una sorta di spin-off della serie “Topographic State of Mind”. Un paragrafo, o forse un capitolo, se vogliamo, nato spontaneamente. Come un ruscello che si origina da un fiume. Mi colpisce la maniera con cui queste statue sono calate nel contesto, quasi sempre periferico, tra le case popolari di rioni spesso “malfamati”. Sono parte integrante e oserei dire integrale del paesaggio, e con esso invecchiano.
Chi sono i tuoi punti di riferimento, hai dei fotografi preferiti?
Ce ne sono tantissimi. Giusto per fare qualche nome: Luigi Ghirri, Robert Frank, Garry Winogrand, Stephen Shore, Lee Friedlander, Abbas, Bernard Plossu.
Osservando il tuo flickr, hai un archivio fotografico immenso, tante raccolte e album, ma c’è una serie fotografica che non hai ancora realizzato e che ti piacerebbe scattare?
Ci sono dei contesti che non ho ancora esplorato, ma non bisogna mai rivelare troppo i piani futuri. Soprattutto perchè le cose migliori nascono dal caso, e come tali non si possono pianificare a tavolino. Bisogna solo farsi trovare sempre pronti a riceverle.
Tre film che hai ammirato per la direzione della fotografia?
Easy Rider, 2001 Odissea Nello Spazio, American History X
Hai una condizione ideale in cui ti piace scattare?
Ombra chiara
Da un punto di vista fotografico come hai vissuto il lockdown? Per te è stato un momento di pausa e riflessione per trovare nuove ispirazioni?
É stato innanzitutto un momento di frustrazione, come ogni stop forzato. Ma è stata anche occasione di fare tabula rasa. Del resto ogni fotografia parte da una tabula rasa.
Come è stato ritornare a scattare per strada, a pieno regime, dopo due anni di pandemia?
É stato come tornare per certi versi al passato, ma con una consapevolezza diversa. Spero accresciuta.
Da buon appassionato di posti abbandonati, mi piacerebbe molto sapere qualcosa sulla serie “What is lost can never be saved”, trasmettono un senso di malinconia e di tempo perduto, cosa ti ha spinto a catturare queste atmosfere?
Quella serie è una sorella minore di “Topographic State of Mind”. Minore per formato (135, contro il 120 della sorella maggiore), genesi, direzioni. Il senso di tempo perduto ha sempre fatto parte di me. Fermarlo all’infinito su una fotografia è un atto di amore e di dolore allo stesso tempo.
Anche le spiagge fanno da scenario a moltissimi tuoi scatti, ma qual è il tuo approccio con le persone in un momento così spensierato? Cosa vedi nelle persone quando sono a mare piuttosto che in strada o in altri luoghi?
Penso che il punto nodale sia essere rispettosi e farsi accettare. A mare la gente allenta le proprie inibizioni, e per questo è più vicina alla propria vera essenza. Il fotografo non è altro che un ballerino, che danza perennemente intorno all’uomo e al contesto che si è creato intorno a sè.