Non mi sento più un talento sprecato – Christian Revo si racconta

Dopo Talento Sprecato, Christian Revo torna con “Autopsia”, un progetto maturo, crudo e senza filtri. Otto tracce prodotte da Haxia, arricchite dalle collaborazioni con CoCo, Ciro Zero e Aisha, che si muovono tra rap, trap e hip-hop, senza mai perdere il peso delle parole.

Revo non cerca l’hit, ma la sua verità. Autopsia è un viaggio dentro le sue paure, dentro Napoli, dentro un’identità artistica che oggi sembra più consapevole che mai.

L’intro di Autopsia colpisce subito: la voce di Geolier che suona come un monito, poi l’attacco crudo della chitarra, e quei versi che sembrano un manifesto. “facilmente mi faccio prendere dal Panico (…), Tupac nella macchina (…) scendo già Napoli come fossi un turista, devo salvare la cultura come fossi un purista” . Come è stato lavorare a questo nuovo progetto? 

È stato impegnativo, ma liberatorio allo stesso tempo. Fare un progetto così introspettivo in un periodo come questo non è stato affatto facile, ma volevo raccontarmi e far capire che essere artisti è anche questo. Avere Geolier che apre il progetto è stato un atto di stima e riconoscimento nei suoi confronti.

Le produzioni di Haxia hanno un suono molto cinematografico, a volte quasi claustrofobico. Come avete lavorato per dare a Autopsia questa atmosfera così intensa e coerente?

Io e Haxia lavoriamo praticamente ogni giorno a musica nuova, curiamo tutto insieme nei minimi dettagli, dalla produzione al risultato finale, ormai siamo in sintonia. Abbiamo cercato di dare un senso di malinconia, crudo ma elegante. I suoni sono studiati per risultare a volte soffocanti, altre volte più aperti e spogli. Volevamo che l’ascoltatore percepisse il disagio di scavare dentro sé stesso, senza però togliere centralità ai suoni e al flow. 

Tornando sull’intro, come vedi Napoli e la cultura hiphop oggi? Cosa pensi manca e in cosa vada salvata?  

Napoli oggi è in fase di ascesa da anni, con un sacco di voci forti e un’attenzione che prima non c’era. A volte però rischiamo di perderci l’urgenza vera dell’hip hop, quella di raccontare chi siamo davvero. Per me “salvare la cultura” significa non farla diventare solo immagine o trend, ma renderla forte attraverso la verità . Non dobbiamo fare i puristi per forza, ma non dobbiamo nemmeno tradire la fame che ci ha portato qui.

Nel disco ci sono featuring forti ma ben calibrati: CoCo, Ciro Zero, Aisha. Ognuno sembra raccontare una sfumatura diversa del tuo mondo. Come li hai scelti e cosa hanno portato in Autopsia?

Non volevo featuring messi lì per hype. Ho scelto persone che potessero aggiungere un punto di vista reale sul mio mondo. CoCo per me porta un’introspezione elegante, che fa da contrasto alla mia crudezza. Ciro Zero ha quell’urgenza grezza e sincera che volevo emergesse. Aisha ha una sensibilità che porta luce anche nei pezzi più cupi. Ognuno è stato come un altro medico in sala, che mi aiutava ad aprire parti di me che da solo non avrei saputo analizzare.

Il titolo Autopsia rimanda a qualcosa di crudo, ma anche di necessario. È stato doloroso metterti così a nudo? C’è un pezzo in cui ti sei sentito più esposto?

È stato necessario più che doloroso, ovviamente quando ti metti a nudo o scegli questa direzione hai molti più pensieri e preoccupazioni all’uscita, ma sono fiero di aver lavorato su questa parte di me. Il pezzo che mi ha più messo a nudo ti direi “SALTO”.

Oggi tanti artisti sembrano inseguire solo l’hit o l’estetica del momento. Autopsia va in tutt’altra direzione, ma allo stesso tempo ti vediamo attivo anche su tracce più leggere, come quella con Plug e quella spoilerata con Lele Blade e Vale Lambo. Come convive tutto questo in te? Nei tuoi progetti cerchi sempre profondità, e ti concedi più libertà nelle collaborazioni, o è tutto parte della stessa visione?

Non voglio fare il predicatore né il purista che disprezza il divertimento. Ho bisogno di entrambi i lati. Autopsia è un lavoro concettuale, pensato come un corpo da sezionare. Ma la musica è anche un respiro, uno sfogo, e le collaborazioni più leggere sono la mia valvola. Non è incoerenza, è verità. Nessuno è solo cupo o solo leggero. Voglio che la mia discografia rifletta tutte le mie facce.

Qualche anno fa ti definivi un talento sprecato. Dopo Nuova Scena, le esperienza accumulate nel tempo e dopo aver messo a nudo l’anima con Autopsia, ti ci senti ancora?

Oggi non penso più di essere sprecato. Penso di essere consapevole. Autopsia è servito anche a questo, a vedere con lucidità i miei errori, le occasioni perse, ma anche quello che valgo davvero. Non voglio più sabotarmi. Se prima avevo paura di non essere all’altezza, oggi voglio solo essere onesto con chi ascolta. Voglio valorizzare tutto il lavoro fatto finora e continuare a fare la mia musica.

L’Hip-hop è morto, viva l’hip-hop

A vent’anni da 60 HzDJ Shocca torna con 60 Hz II: un elogio sincero e potente alla cultura Hip Hop, costruito come un mosaico sonoro che unisce leggende e nuove leve, stili diversi e la stessa, instancabile voglia di scrivere rime che contano.

Il disco si apre con una dichiarazione di intenti chiara e potente“dedicata alla musica”, affidata alle voci degli amici di sempre di Shocca, la sua famiglia artistica, Unlimited Struggle. Le loro strofe suonano come un manifesto, un grido d’appartenenza: “il nostro stile è fuori mercato”, una rivendicazione di identità, attitudine e coerenza.

Non è un caso che la prima strofa sia affidata a Mistaman, che apre con un ammonimento preciso: “devi essere all’altezza”. C’è poi Ghemon, che analizza il presente con lucidità, tra la tensione del mercato e il bisogno di restare fedeli a sé stessi, seguito da Stokka, che racconta la fatica del restare a galla senza snaturarsi.

Successivamente Frank Siciliano sottolinea il lavoro fatto con la sua eleganza inconfondibile, citando alla fine un vecchio brano di Ghemon – “Dio, quanto è difficile spiegarsi quando scrivere è un’urgenza” – tornando a ribadire il cuore del progetto. Infine, MadBuddy chiude il cerchio riportando tutto sull’oggi, sulla scena attuale, ma senza mai perdere la bussola.

È proprio questa la corrente che attraversa 60 Hz II: l’urgenza di raccontare, di farlo bene, con sincerità, rimanendo sé stessi, lontani dalle logiche degli algoritmi, dai trend passeggeri, dalle classifiche effimere. Qui non si cerca la hit: si afferma un’identità, si celebra una cultura. E soprattutto, si ricorda quanto sia ancora bello – e necessario – fare Hip Hop per ciò che è davvero.

Questa dichiarazione di stile ritorna forte nelle strofe dei Club Dogo, guardiani storici di un rap viscerale e diretto, e si raffina in una delle collaborazioni più intense dell’album: Ghemon e Neffa, due artisti che hanno saputo evolversi rimanendo fedeli all’essenza, costruendo un ponte tra soul, tecnica e consapevolezza.

Tra i momenti più forti del disco c’è però l’arrivo di una strofa di Primo, che si unisce a Guè e Izi. Tre generazioni diverse, unite dalla stessa passione. È un omaggio vibrante a uno dei più grandi rapper italiani, ma anche una dimostrazione di come il rap possa essere continuità emotiva oltre che musicale. In quell’istante, 60 Hz II smette di essere solo un disco: diventa memoria viva.

E proprio la memoria, insieme alla citazione, è il linguaggio dominante dell’album. Non solo nei testi, ma anche nelle produzioni: Sempre Grezzo IIBlu Notte IIGhettoblaster II… ogni “II” non è solo un sequel, ma una riscrittura affettuosa e rispettosa. Le versioni rinnovate non sono nostalgia, ma gesti d’amore verso ciò che è venuto prima, codici di un linguaggio culturale che Shocca e tutti i suoi ospiti parlano fluentemente.

Perché la citazione, nell’Hip Hop, non è una semplice nota a piè di pagina, ma è il cuore stesso del gioco. È connessione, è gratitudine, è riconoscimento. E Shocca riesce in qualcosa di sempre più raro: ricordare a chi scrive e ascolta quanto è bello farlo, senza pensare all’industria, ma solo all’identità, al suono, alle parole.

L’album trasuda amore per l’Hip Hop in ogni dettaglio. I beat sono cuciti con cura maniacale, come vinili restaurati con le dita sporche d’inchiostro. Le strofe, anche le più tecniche, sono innanzitutto un atto di gioia. C’è il piacere infantile e contagioso di chi sta rappando per il gusto di farlo, senza filtri, senza pretesti.

Non mancano però momenti più riflessivi: Johnny Marsiglia mette a fuoco il presente con lucidità e malinconia, mentre Ensi e Nerone spostano l’asse verso il gioco e il virtuosismo, senza perdere la connessione con l’essenza del genere.

E quando il cerchio sembra chiudersi, ecco che Danno e Inoki rilanciano con una raffica di citazioni non solo musicali, ma culturali: dai grandi della musica italiana a Nas nel ritornello, la loro strofa è un’enciclopedia viva dell’attitudine Hip Hop, come se fossero lì a spiegare ai più giovani non cos’è il rap, ma perché continuiamo ad amarlo.

Poi arriva Clementino, che chiude quel ciclo narrativo celebrando la cultura e citando i Co’Sang, riportando Napoli e le sue radici al centro del discorso. Non è retorica, è passione nuda.

Infine, il microfono passa a Ele A: giovane, credibile, personale. Il suo ingresso non è un cameo, ma un gesto simbolico: il futuro è pronto, ed è consapevole di ciò che è venuto prima. Una chiusura perfetta, che fa eco a chi ha aperto il disco con le parole: “il nostro stile è fuori mercato”.

60 Hz II non è un album nostalgico.
È un disco necessario, oggi più che mai.
È memoria che abbraccia il presente e costruisce il futuro.
È un promemoria forte, firmato DJ Shocca, che dice una cosa sola, con dolcezza e fermezza:
“Ricordate quanto è bello l’Hip Hop.”

Il Sud non si spiega, si ascolta – intervista a L’Elfo

Sangue Siciliano è un disco che non si capisce a metà. Ogni barra parla la lingua di chi è cresciuto in un posto preciso, e ha deciso di farne il centro della propria narrazione, non un semplice sfondo. Catania, le strade, i codici e le contraddizioni non sono elementi decorativi: sono la trama. E la voce dell’Elfo – senza pretese di riscatto poetico – è lo strumento con cui scava.

Non c’è feticismo del disagio, non c’è estetica da streetwear. C’è una storia, un’area geografica, una visione. Ed è quella che abbiamo provato a farci raccontare.

Quando hai scritto “Sangue Siciliano”, stavi cercando di chiudere un cerchio o di aprirne uno nuovo?

Non volevo chiudere un cerchio, ma aprirne un nuovo. Questo sarebbe una sorta di L’Elfo 2.0. Ed è soltanto l’inizio.

C’è una parola che senti di aver usato troppo, o troppo poco. Se si, qual è?

La parola che ho usato troppo sicuramente è Catania, ma pensandoci, il disco parla molto di me, della mia vita e della città. Quindi va bene così.

Qual è il tuo guilty pleasure musicale?

Ti direi nessuno, perché sono del parere che anche le canzoni che per tanti possono sembrare imbarazzanti, possono dare qualcosa, un momento di svago. Quindi nessuna vergogna per nessun artista.

In questo momento, che tipo di artista stai cercando di diventare?

Direi un artista che sappia sfruttare appieno il proprio talento.

Qual è la tua parola preferita nel tuo dialetto?

La mia parola preferita credo sia “Mbare”, che per me è di un uso quotidiano spropositato e fa parte del linguaggio tra fratelli, tra amici.

Il sangue è qualcosa che si eredita, o che si costruisce vivendo?

Io credo entrambe le cose, perché in un modo o in un altro il sangue sì, ti può dare tanto carattere per quanto riguarda la tua storia, però è anche vero che crescere in un posto può fare tanto, quindi entrambe le cose sono importanti per il proprio sangue.

Qual è la cosa più difficile da dire in una traccia, per te, oggi?

Anni fa avrei risposto in maniera diversa, oggi invece non ho nessuna difficoltà nell’aprirmi, perché sono del parere che qualunque tipo di emozione possa diventare una canzone e qualcosa di importante.

Se la tua vita fosse una canzone non tua, quale sarebbe il titolo?

I giardini di marzo di Lucio Battisti.

Oggi il rap è anche una questione di estetica, visione, messaggio. Cosa significa per te costruire un immaginario che abbia coerenza, ma non diventi una gabbia?

Personalmente, il mio immaginario non è mai stata una gabbia, per il semplice fatto che sia fedelissimo alla vita che ho vissuto, quindi per evitare che l’immaginario di un artista diventi una gabbia, quell’artista dev’essere il più vicino possibile alla vita reale.

In “Sangue Siciliano” c’è una tensione costante tra l’istinto e la lucidità. Ti capita mai di scrivere qualcosa e poi censurarti? Per paura, per rispetto, per stanchezza.

Mi reputo molto fortunato a fare un genere che non si pone nessun problema per quanto riguarda la censura e il linguaggio pulito, quindi no, ho scritto cose molto forti e non mi sono mai pentito perché sono sempre state cose che sentivo di scrivere e di comunicare.

Se potessi organizzare un festival musicale con qualsiasi artista (vivente o non), chi sarebbe il/la headliner?

Sicuramente Method Man ed Eminem, perché entrambi sono Rapper con la R maiuscola e fanno esattamente quello che io cerco di fare in Italia. Ci sono artisti che provano a somigliare a qualcosa. Altri che provano a raccontare quello che sono. Dentro c’è la strada, sì, ma c’è anche il mestiere: il controllo di chi non si sdradica.

Tradizione e presente: il viaggio musicale di “Post Tarantella” dei Romito

Intima, tagliente, ironica e viscerale: “Post Tarantella” è molto più di un album. È una fotografia sonora di una generazione che si muove tra tradizione e presente, tra memoria e spaesamento.

Dietro questo progetto ci sono i Romito, band che intreccia suoni contemporanei e radici popolari, raccontando con lucidità e poesia la complessità del nostro tempo.

Quali sono le sensazioni che si porta dietro il primo ascolto del vostro album Post Tarantella?

Di sicuro per noi ascoltarlo è stato come rientrare a casa dopo un lungo viaggio: riconosci l’odore, ma qualcosa è cambiato. È un disco che arriva dopo lo stop del Covid, dopo una serie di cambiamenti importanti nelle vite di ognuno di noi e soprattutto è il primo disco con una nuova produzione artistica, quella di un Carlo De Luca, il nostro chitarrista. Per le persone speriamo che il primo ascolto di Post Tarantella sia un piccolo cortocircuito emotivo, dove la tradizione si piega al presente. Volevamo che il disco fosse familiare e straniante allo stesso tempo.

Qual è la canzone che più vi rappresenta e che sicuramente possiamo trovare all’interno del vostro ultimo progetto musicale?

Probabilmente GENERAZIONE. È una sintesi perfetta del nostro suono e della nostra sensazione di stare al mondo e nell’universo della musica. “Generazione” racconta di quel preciso istante che prima o poi tutti proviamo: sentirsi forse un po’ vecchiotti per le novità, tuttavia ancora troppo giovani per rappresentare il passato.

Preferite (qualora ne avessimo la facoltà) diventare celebri o mantenere la vostra nicchia rimanendo fedeli ai vostri canoni artistici?

La fama senza verità non ci interessa. Preferiamo parlare a pochi ma profondamente, piuttosto che a tutti in superficie. Se poi le due cose dovessero coincidere, tanto meglio. Ma la musica, per noi, deve essere prima di tutto necessaria, non comoda. Diciamo che anche 500 persone, in ogni club del mondo sono molto meglio di un unico stadio solo in Italia o solo a Napoli! 🙂

Due le esperienze che più vi hanno toccato emotivamente: il festival “Musica contro le mafie” e il contest Primo Maggio Next 2020. Riuscireste a condividere le sensazioni di quelle intense giornate?

Sono stati due momenti in cui abbiamo capito che il vero senso di tutto quello che facciamo oltre alla musica è la nostra profonda amicizia. Passare tanti giorni insieme in giro per l’Italia è stato magico ed esilarante. 

Suonare in un club o in un teatro: cosa preferireste e come cambia secondo voi l’approccio?

Il club è corpo, sudore, fumo e occhi negli occhi. Il teatro è respiro, ascolto, attesa e concentrazione, cambia tutto: nei club sei energia viva, nei teatri diventi narrazione. Entrambe le situazioni ci affascinano, ma la scelta dipende dal racconto che vogliamo portare. L’album Post Tarantella, ad esempio, nasce con l’idea del teatro, anche perché i nostri testi strizzano più di un occhio a quel mondo, ma crediamo respiri bene anche in uno spazio viscerale come un club.

Quando è arrivato al vostro orecchio che l’attrice campana Marisa Laurito avrebbe inserito il vostro gruppo nel cartellone del teatro Trianon Viviani di Napoli qual è stata la prima reazione? (Di getto non voglio che mentiate! :D)

Abbiamo urlato! Andrea (l’altro chitarrista) ha anche bestemmiato a modo suo… è stata una gioia gigante. Poi è arrivata la gratitudine, quella vera. Sentire che qualcuno crede in te, non un’artista qualunque ma una figura come Marisa Laurito che rimane in assoluto un simbolo della nostra adolescenza e rappresenta davvero il lato più puro e artistico della nostra città, ti fa capire che forse stai camminando nella direzione giusta.

“Chi chiagne fotte a chi rire, è overo. Chi sape ridere dice: verimmo che succere.” Qual è il significato di questo profondo incipit?

Il primo verso racconta un Sud abituato al vittimismo come forma di potere. Ma noi crediamo nel secondo: chi sa ridere ha già vinto. Chi non si lascia ingannare dalla tragedia e guarda avanti con una sana ironia può davvero cambiare le cose. Dopotutto, andando incontro ai problemi della vita che prima o poi di sicuro arriveranno, l’unica scelta possibile è appunto decidere come comportarsi.

Chi Sei Napoli? Cronache di JR

Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’artista francese in occasione della sua nuova installazione site-specific realizzata a Napoli.

Sulla facciata del Duomo è ora possibile ammirare un mosaico che ritrae volti locali, un omaggio visivo al tessuto umano della città.

Napoli è stata scelta dall’artista per la sua autenticità, come ha dichiarato: una metropoli che, pur nel presente, conserva un ritmo umano, in parte ancora distante dalla sovraesposizione tecnologica. Un luogo in cui l’energia quotidiana si manifesta in ogni angolo e dove i legami sociali, autentici e diretti, continuano a essere parte integrante della vita urbana.

Oltre alla nuova installazione dell’artista nel cuore di Napoli potrete scoprire il dietro le quinte della sua composizione presso Gallerie D’Italia, a Via Toledo, dove è presente una mostra interamente dedicata a lui. La mostra è l’ottavo episodio della serie Chronicles dopo Clichy-Montfermeil (2017), San Francisco (2018), New York (2018), Miami (2022), Kyoto (2024), tre città americane (Dallas, Saint Louis e Washington DC) per un murale sul tema delle armi in America (2018), e quindici città di Cuba (2019).

L’incontro tra l’artista e Napoli non è nuovo: già nel 2017 aveva visitato la città, lasciandosi ispirare dal suo lungomare dove venne installata una sua prima opera.

Chi è JR?

JR è lo pseudonimo di Jean René e si rifà al personaggio principale della serie americana Dallas, J. R. Ewing. Nato a Parigi nel 1983 ma cresciuto a Montfermeil con i suoi genitori e si diploma al liceo Stanislas prima di dedicarsi ai graffiti. Nel 2001 trova una fotocamera nella metropolitana di Parigi, il resto è storia direbbe qualcuno. Da questo momento iniziano i suoi primi progetti, l’esposizione Toit e Moi (Il tetto ed Io) nel 2004, con l’associazione di Prune Nourry e dal 2004 al 2006 Portrait d’une Génération (Ritratto di una Generazione). Questi ultimi ritraggono dei ragazzi che vivono nella capitale francese e vengono esposti sugli edifici del quartiere popolare Les Bosquets a Montfermeil. Sin da questi primi progetti l’intento di JR era chiaro: voler portare l’arte nella strada.

Nel 2005, partecipa come fotografo di scena al lungometraggio di Kim Chapiron Kourtrajmé con Vincent Cassel. Durante il 2007 realizza Face 2 Face, dove vengono mostrati ritratti giganti di israeliani e palestinesi. I loro visi esposti in 8 città di tali Paesi e sui due lati del muro di separazione. Nel 2008, JR copre i muri esterni della favela Morro da Providencia a Rio de Janeiro con foto di visi e sguardi di donne. Questo progetto prosegue in tutto il mondo fino al 2010. Diventa un film documentario intitolato Women are heroes.

Nel settembre 2010, su invito del Festival Images (Vevey, Svizzera), JR comincia il progetto Unframed. Per la prima volta l’artista non usa immagini sue ma appartenenti alla storia della fotografia. Nel 2015, gira il film ELLIS un omaggio agli immigrati passati da Ellis Island, scritto da Eric Roth e ha come unico attore Robert de Niro.

Comicon 2025: Urban Talks

Per il secondo anno consecutivo, il Comicon apre ufficialmente le porte alla cultura urbana. Come lo scorso anno, toccherà ad Escape Vision a raccontarla, attraversarla e viverla da vicino. Intervisteremo, infatti, i suoi protagonisti, portando sul palco storie autentiche e accenderemo i riflettori su quelle espressioni senza confini.

Quattro giorni di incontri e contaminazioni: arte, fotografia, musica, iconografia, cultura club, sport e cibo si intrecciano in un programma che è specchio vivo della scena contemporanea.

Giovedì 1 

Si parte dalla pista da ballo, o meglio dal dancefloor come spazio di resistenza, con il Prof. Gennaro Ascione, Napoli Segreta e DJ Jesa che ci guidano in un viaggio tra sonorità e politiche urbane nella Napoli postcoloniale. Poi, il mondo del rap si racconta con Nachelo, che dopo l’esperienza in “Nuova Scena” su Netflix. Il pomeriggio si parte dal campo da gioco, dove lo sport incontra l’impresa e la rete sociale con Mosaiko Enterprise, Bey Studio e Napoli Basket. Infine, il racconto si sposta sul calcio femminile con le protagoniste del Napoli Femminile, tra sfide, ambizioni e una nuova narrazione del pallone.

Venerdì 2 

É la giornata della visione e dell’immaginario. Si comincia con il basket, ma da una prospettiva tutta nuova: quella della community digitale, con 4Ballers, NBA Talk About e Simone Maiorano che ci mostrano cosa succede quando sport e social network si incontrano. Si continua con l’estetica visiva partenopea contemporanea, tra tradizione grafica e meme culture, grazie a Danilo Pergamo e Grafiche Napoletane. Il pomeriggio è dedicato al suono e all’identità musicale con Dat Boi Dee, Martino, Jannet e Kloud9, protagonisti della scena urban emergente, che riflettono sul ruolo della sperimentazione tra hip-hop, soul e linguaggi ibridi. In chiusura, lo sguardo si sposta sui muri della città con Inward e Trisha Palma: murales, graffiti e arte pubblica diventano strumenti di racconto urbano.

Sabato 3

Tocca alle voci forti e alle narrazioni intime. Nicola Siciliano sarà nell’area urban per raccontare la sua Napoli, quella che ha dentro e che mette nei suoi testi, tra vita di quartiere e suoni ruvidi. Subito dopo, è il fotografo Giuseppe Di Vaio a guidarci per le strade con il suo sguardo lucido e sensibile: immagini che parlano di cambiamento e identità. Nel pomeriggio tocca a Samurai Jay ripercorrere il proprio percorso artistico, tra Mugnano, collaborazioni eccellenti e nuove sonorità, come nel suo ultimo EP “Respira”. A chiudere, un talk che unisce parole, comicità e riflessione: Ghemon, Davide DDL e Vincenzo Comunale esplorano il potere della voce come forma d’arte e strumento di lettura sociale.

Domenica 4 

L’ultimo giorno si apre con il profumo dei panini e delle storie: Egidio Puok e Alessio Malinconico ci accompagnano in un viaggio tra gusto e narrazione urbana, dove il cibo diventa identità. Poi spazio alla musica, con due incontri che riuniscono alcune delle voci più forti della nuova scena urban napoletana: Voga, Cecchy e Plug prima, Vale Lambo, Lele Blade e Frezza poi, raccontano una città che suona sempre più in avanti. A seguire, HellHeaven e Indimen affrontano l’evoluzione del clubbing napoletano e delle serate che hanno ridisegnato il divertimento notturno. Si chiude con l’arte del tatuaggio: Fabio Gargiulo Tattoo Lab porta sul palco l’inchiostro come segno di identità, memoria e appartenenza.

Nuova scena è Mtv Spit della Gen Z

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Questo mese su Netflix è uscita la seconda stagione di Nuova Scena. Il cast resta quello della scorsa stagione: Fabri Fibra; Geolier; Rose Villain. Tre nomi che, a modo proprio, portano con sé un certo tipo di legittimità. Soprattutto Fibra, che -diciamocelo- ha ancora l’aura da padre artistico della scena mainstream italiana, colui che può permettersi di dire“questo sì, questo no”.

Il format, nella sua struttura, è quello di un talent show — ma con le vibes da reality. Ci sono le eliminazioni, le battle, la tensione. Ma – ed è qui che si discosta da MTV Spit – ci sono i sentimenti. Mentre nella gabbia installata su canale 8 non ci dicevano nulla dei genitori di Shade o della (ipotetica) brutta infanzia di Nerone, qui si entra con la classica intro alla Mediaset. Musica di sottofondo, primi piani, confessionali.

Mo vi dovete scannare

In questa seconda stagione, gli autori hanno raddrizzato di molto il tiro rispetto alla precedente, (la scena di Spender che urla dentro al bagno con le riprese in movimento e la musica tragica in sottofondo sono lo Scary Movie di chiunque non si accontenti del digitale).

Ma tornando a noi, dicevamo, niente gabbia. Ma a differenza di quanto si possa intuire, non sono qui per parlare male di questo programma. O almeno non solo. Mtv Spit (che ci sembra durato 10 anni, e che invece ha solo 3 stagioni), aveva in palio 5.000 euro. Nuova Scena ne swagga 100.000.

Dal 2012 – anno della prima stagione di Spit – (per contestualizzare, nel 2017 esce Gelato della Dark) ad oggi, il mercato del rap (e in generale dell’Hip Hop) è diventato immenso, imponendosi come cultura dominante. Questo significa più soldi, il che significa più aspiranti rapper.

L’ansia del rapper è sempre dietro l’angolo

Il rapper per antonomasia, o per stereotipo -poco importa- è arrabbiato, spietato e competitivo. E anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a un tentativo (fallito) di renderlo più borghese, più istituzionale, più family friendly, l’archetipo resiste. Quando pensi al rapper italiano medio, non ti viene in mente Caparezza, ma Guè. Questo non significa che non esista tutta una filosofia rap diversa, ma appunto non è la narrazione ufficiale, ça va sans dire.

In questo senso, un reality-talent come Nuova Scena è il palcoscenico perfetto per rappresentare l’ampliamento del mercato, ma anche -per essere più romantici-l’ampliamento della cultura. Interessante nella prima stagione, durante le battle, la -non sfida- tra città/ identità sessuali diverse, volte a tutelare inciampi prevedibili la cui politica diNetflix come ben sappiamo, è molto attenta. Nuova Scena si differenzia dagli altri talent musicali anche perché il rapper è (di solito) autore dei propri testi, difficilmente fa cover.

Inoltre il format del reality si sposa benissimo con la cultura hip-hop in quanto il rap racconta la sopravvivenza, e il reality è – per certi versi – una rappresentazione darwiniana perfetta per questo tipo di narrazione.

Il macellaio ha affettato

Moltissimi artisti che era consideriamo ‘old school’ o come direbbe Guè “true school” sono usciti da Spit (basti pensare a Clementino, Ensi, Nitro) nel periodo in cui il rap aveva già l’ambizione di diventare mainstream. Solo che nascondeva quella parte di feelings, citati prima, che da una parte riflettono una sorta di magia -quell’illusione di sentire e conoscere le persone che vediamo sullo schermo- dall’altra rappresentano un fetish tipico della nostra generazione: umanizzare i propri idoli. Oggi, vogliamo sapere tutto, conoscere i nostri idoli fino in fondo. Renderli fragili.

Sentire vicino chi ci piace, perché il rap è storia vissuta, e se tu quella storia non l’hai vissuta, come minimo ti vuoi sentire vicino a chi la racconta. Perché se non puoi dire “quella storia è anche la mia”, allora almeno vuoi poterti dire “quella storia la capisco.

Questo cambia tutto. Perché il racconto diventa identità. E la narrazione dell’identità, oggi, è anche esposizione. Da un punto di vista meramente rappresentativo invece salta subito all’occhio la differenza tra l’omogeneità dei concorrenti di Spit e l’eterogeneità di quelli di Nuova Scena, direttamente proporzionale al riflesso della società.

Tra i due litiganti, il rap gode

La critica è vecchia: “quando il rap va in televisione, muore”. Perde l’attitudine, diventa gentile, si mette in posa. Il punto però non è che il rap sia in tv. Il punto è che la tv – oggi – è ovunque. È nello smartphone, nei reel, nei format di TikTok. Quindi sì, il rischio c’è. Ma non è la televisione in sé. È il formato.

La prima stagione di Nuova Scena aveva l’effetto sorpresa. Era nuova, sembrava ancora un po’ sperimentale. La seconda è più consapevole, più levigata, più netta. La domanda diventa: quanto durerà questa freschezza prima di diventare un copione?

Quante volte possiamo guardare lo stesso loop: presentazione emotiva → storia toccante → barra liberatoria → abbracci dietro le quinte?

Il rischio è sempre quello: che tutto sia standardizzato. Che anche la rabbia diventi pre-prodotta e che la verità venga montata con la colonna sonora in sottofondo.

Nuova Scena diventa un X Factor con le Jordan, sua mutazione naturale, considerando che provengono entrambe dalla stessa casa di produzione.

Tutto questo ambientato in un panorama in cui il dubbio amletico delle major discografiche resta intatto:essere o far finta di essere?

Se nasc se mor sul, intervista a Plug

Plug – classe 2006, al secolo Andrea Buono – è uno dei nomi più promettenti della scena urban partenopea, fra rap ed r&b.

Le strade, le persone e il mare della sua città sono la sua principale fonte di ispirazione, elementi che emergono con autenticità nei suoi testi, diretti e senza filtri. Dopo il suo primo EP Cristallo e brani come Replay e T CHIED SCUS feat. MV Killa, Plug continua a conquistare pubblico e critica con il suo sound che unisce radici old school e contemporaneità.

Lo abbiamo incontrato per un’intervista esclusiva, in cui ci ha raccontato il suo nuovo singolo, il suo percorso e i suoi progetti futuri.

All’interno del brano il messaggio principale è quello di rimanere fedeli a se stessi. Quante volte ti hanno chiesto di cambiare? Magari per avere opportunità più facili a livello lavorativo.

Più che avermi chiesto di cambiare mi hanno chiesto di snaturarmi, penso sia la cosa più controproducente per un percorso lineare. Credo che il cambiare, quindi l’evolversi, sia la cosa più importante. Senza mai snaturarsi.

Parli anche di delusioni, ma in quale ambito della tua vita? Lavorativo o personale?

Sono una costante e io ne ho avute sia a livello lavorativo che personale. Ne parlo perché mi hanno dato forza e mi hanno dato modo di capire le cose, così come lo hanno fatto le soddisfazioni.

Viene menzionata anche una “vittoria meritata” nel brano, le collaborazioni con degli artisti affermati nella scena rap italiana (CoCo, Lele Blade, MV Killa) fanno pensare ad un ragazzo che si sta conquistando uno spazio all’interno di quest’ultima. Pensi quindi di star meritando questa fantomatica vittoria?

Le collaborazioni per me sono dei traguardi e delle soddisfazioni personali, mi hanno aiutato a consolidare la mia autostima e sopratutto hanno aiutato il mio percorso professionale.

Quando parlo di vittoria parlo della mia carriera musicale, di proseguire con questa strada raggiungendo altri traguardi e di migliorare ancora a livello di scrittura.

C’è un artista con cui sogni di collaborare da anni, ma con cui non hai ancora avuto la possibilità di farlo?

Mi piacerebbe tanto collaborare con Mahmood, siamo tanto simili nel modo di approcciare la musica. Lo considero la mia ispirazione. Se parliamo di musica rap allora dico Ernia.

Con questo singolo appare chiaro un voler far conoscere al pubblico il ragazzo dietro Plug, l’album sarà quindi improntato in questo modo?

Quando scrivo cerco sempre di far arrivare me stesso, in alcune canzoni magari non ci riesco sempre ma questo dipende dal tema del brano. Il disco sarà improntato sicuramente su di me e sul mio modo di pensare.

Che obiettivi hai per quest’anno?

Per quest’anno non ho obiettivi precisi. Porre gli obiettivi in una timeline per me è deleterio. Riesco a pensare solo a lungo termine. Voglio far uscire nuova musica, tanta nuova musica di cui sono sicuro al 100%.

Sanremo e cultura urban: un passo avanti?

Sanremo è, nel bene e nel male, l’evento musicale più importante d’Italia. Ogni anno, il Festival diventa lo specchio della scena musicale contemporanea, un riflesso di ciò che funziona nel mercato e di ciò che viene imposto dalle dinamiche dell’industria. Peccato che, se la musica evolve, lo spettacolo resti fermo.

Lo show televisivo che accompagna le esibizioni continua a essere intrappolato in una formula che sa di vecchio, tra battute forzate e momenti di intrattenimento che faticano a restare al passo con i tempi. Gli artisti provano a reinventarsi, ma la struttura rimane quella di sempre.

L’hip-hop a Sanremo: c’è ancora strada da fare

Se dobbiamo guardare al rap e all’hip-hop, quest’anno due figure si sono distinte in modo particolare: Shablo e RoccoHunt, ma un applauso lo merita sirucamente anche Willie Peyote, sempre autentico.

Shablo, ha portato sul palco la più classica autocelebrazione nel mondo del rap, con un ritornello orecchiabile, merito anche della voce di Joshua, e con le strofe di Gue e Tormento ricche di stile.Rocco Hunt, invece, ha proposto un sound mediterraneo che rappresenta la sua firma, la giusta evoluzione riavvolgendo il suo percorso.

Tuttavia, il momento più significativo per la cultura urban è arrivato nella serata dedicata agli ospiti.

Ascoltare sul palco dell’Ariston ‘O Mare e ‘o Sole per chi è cresciuto nel primo decennio degli anni 2000 è un’emozione che va oltre ogni aspettativa. L’omaggio di Rocco Hunt e Clementino a Pino Daniele con Yes I Know My Way, intrecciato con richiami alla loro iconica Mare e ‘o Sole e alla successiva Capocannonieri, è stata la ciliegina sulla torta di due carriere costruite con sacrificio e passione.

Ancora più iconico è stato vedere artisti come Neffa e Tormento condividere il palco ponendo fine alla faida degli anni ’90, con la volontà di regalare un momento storico per l’hip-hop italiano. Entrambi, accompagnati da Shablo, Gue e Joshua, hanno cantato due fra i brani più celebri degli anni ’90: Amore de mi vida dei Sottotono e Aspettando il Sole di Neffa, un mashup su quel palco inimmaginabile all’epoca.

L’urban cresce, ma qualcosa non va

Anno dopo anno, la cultura urban guadagna sempre più spazio a Sanremo. Peccato che questa crescita non si rifletta nelle scelte delle radio e nella qualità della musica, che sembra essere schiava delle logiche di TikTok e dell’industria. I brani che ottengono maggiore esposizione non sono quelli che portano avanti un discorso culturale, ma quelli che rispondono a dinamiche commerciali precise. Poca cultura, tanto marketing. A differenza di quanto si è fatto invece in questo festival.

L’hip-hop e tutte le sfumature del rap difficilmente verranno comprese dal grande pubblico e di certo non hanno bisogno della loro approvazione. Così come l’anno scorso Geolier celebrò Brivido e ‘O Primm Ammore, quest’anno anche Shablo e Rocco Hunt hanno reso omaggio all’hip-hop, dagli anni ‘90 ai primi anni ‘10.

Questa cultura continuerà a viaggiare nei suoi binari, magari creandosi sempre nuovi spazi, ma ben venga farsi conoscere ancor di più dal Bel Paese.

Clementino Live Tour 2025: due date imperdibili a Milano e Napoli

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Clementino Live Tour 2025: due date imperdibili a Milano e Napoli

La Iena White è pronta a incendiare i palchi con due concerti speciali per il LIVE TOUR 2025. Clementino, uno dei rapper più amati e poliedrici d’Italia, si esibirà in due città simbolo del rap italiano:

  • 20 novembre – Fabrique, Milano
  • 28 dicembre – Palapartenope, Napoli

Prodotti e organizzati da Promomusic Italia, gli show promettono di essere un’esplosione di energia, dove l’hip-hop incontrerà il groove della musica live. Sul palco, oltre a Clementino, ci saranno i breaker Gino Rota e Salvatore Deflow, accompagnati da una band d’eccezione con Pj Gionson (consolle), Greg Rega (voci), Francesco Varchetta (batteria), Raffaele Salapete (chitarra), Silvestro Saccomanno (tastiere) e Luigi “Calmo” Ferrara (basso).

Dopo il successo del singolo “PARLO ‘E TE”, realizzato con Ste e ispirato al classico napoletano Luna Rossa, Clementino continua a dimostrare la sua capacità di fondere tradizione e innovazione, urban sound e radici partenopee.

Sempre più presente anche in TV, il rapper è tornato nel ruolo di coach a The Voice Kids, confermando il suo talento nel guidare le nuove generazioni.

I biglietti per le due date sono già disponibili su Ticketone e nei punti vendita autorizzati.

Non resta che segnare le date in calendario: il Live Tour 2025 sarà uno spettacolo da non perdere!