La scena musicale catalana sta vivendo una fase di grande fermento e sperimentazione, in cui l’identità catalana si afferma con grande forza attraverso linguaggi e sonorità diverse. Due sono le forme di espressione che dominano: il catalano e il castigliano, che non si escludono a vicenda ma si intrecciano, dando vita a un panorama musicale ricco e dinamico, anzi meglio, una mezcla. Ed è così che la musica riesce a mischiare sounds contemporanei con radici culturali profonde, mantenendo ben definita l’essenza di una terra che rivendica la propria autenticità.
Il territorio catalano offre paesaggi stupendi, ideali per trascorrere belle vacanze, ma del suo sound al di fuori dei suoi confini, se ne sa ancora poco.
Nel corso del tempo ho avuto modo di confrontarmi con diversi protagonisti di questa scena: da Ceaxe, che ha scelto di cantare interamente in catalano, a Flashy Ice Cream, duo di Sabadell che ha portato la bachata a un livello superiore, reinterpretandola in chiave urbana e offrendo un’espressione ancora più verdadera della cultura catalana.
È proprio all’interno di questa bellissima cornice che si inserisce l’esperienza di Enkhi x Tisset, dal cuore puro catalano al rap senza filtri.
Dai marciapiedi di Cerdanyola del Vallès, Enkhi x Tisset hanno trasformato la loro amicizia e la loro passione per il rap in un progetto autentico e personale. Tutto è iniziato nel 2016, senza troppe aspettative né strategie, ma solo con il desiderio di dare voce a ciò che avevano dentro. Dopo una pausa, la vita li ha riportati a incrociarsi nel 2021. Da allora la musica è tornata a scorrere con naturalezza, senza forzature.
Il loro rap nasce dall’istinto e dall’esperienza quotidiana, ma non si limita ad un genere: ogni brano è un flusso di energia che si trasforma in parole, trasparenza ed emozioni vissute. Con testi sinceri e diretti, Enkhi x Tisset raccontano ciò che conoscono davvero — le loro storie, i loro sentimenti, i dettagli della vita di tutti i giorni — riuscendo a dare forma a un linguaggio musicale che non cerca etichette, ma connessione.
Nel vostro nuovo singolo “Ella tiene el don” trasmettete un’atmosfera fresca, estiva e nostalgica. Com’è nata l’idea di questa canzone e quale momento personale o collettivo è stata la scintilla che l’ha ispirata?
Eravamo in studio con il nostro amico e produttore CSC Beats e avevamo voglia di fare qualcosa di diverso da ciò che stavamo facendo finora, che era più rap. A un certo punto Carlos (CSC Beats) ha creato un ritmo e il campione sembrava dire “ella tiene el don” e “y baila”. In quel momento è scattata la scintilla e il ritornello è venuto fuori da solo.
Da lì, sapevamo che volevamo parlare di un colpo di fulmine estivo e, siccome entrambi ne avevamo vissuto uno, è bastato ricordarlo.
Ascoltando il brano e guardando il videoclip, sembra quasi un inno alla libertà, a quegli istanti unici in cui tutto si incastra alla perfezione. Era questa l’intenzione fin dall’inizio?
Alla fine volevamo catturare quel momento in cui vedi qualcuno per la prima volta e tutto combacia. Quel momento in cui la guardi e senti che lei ha il Dono.
Quando abbiamo pensato al video insieme a Tana Lakale ed Eureca Media (il nostro team creativo), hanno proposto quell’estetica e tutto ha finito per portare a questo: far sì che lo spettatore provi la sensazione di viverlo in prima persona.
In realtà, creare un inno alla libertà non era l’intenzione principale, ma ci piace molto questa lettura, perché è un brano d’amore e l’amore ci rende liberi.
Vi siete ritrovati nel 2021 dopo un periodo di pausa. Com’è stato quel ritorno creativo e cosa avete imparato l’uno dall’altro in questo percorso condiviso?
Era da molto che non facevamo musica insieme, la nostra ultima canzone era del 2016 quando eravamo praticamente due adolescenti. Il momento di ritrovarci, mostrarci a vicenda ciò che avevamo fatto in quegli anni e ricominciare a creare insieme è stato come se il tempo non fosse mai passato.
Il fatto che stessimo vivendo fasi simili della vita ha reso tutto ancora più naturale.
E per quanto riguarda cosa abbiamo imparato l’uno dall’altro: Enkhi ha imparato da Tisset a rimanere un po’ più con i piedi per terra, cioè che una canzone non è solo scrivere e volare, ma poi ci sono dei processi, dei tempi, un lavoro “extramusicale” per così dire, che richiede pianificazione.
E Tisset ha imparato da Enkhi che a volte bisogna salire un po’ sulle nuvole, cioè non stressarsi troppo per tutto, che restare un po’ bambini in un mondo di adulti a volte è necessario e che per fare musica bisogna prima di tutto vivere.
Ogni canzone è un’opportunità per esplorare nuove sonorità. Quali generi o influenze vi attraggono attualmente e in che direzione vi piacerebbe far evolvere il vostro sound?
Su questa roba siamo molto diversi. È vero che nei generi vicini all’hip-hop ci sentiamo entrambi molto a nostro agio, ma se lasci Enkhi libero probabilmente tornerà con una cumbia, una rumba spagnola, un flamenco o un trap più duro; e se lasci Tisset forse ti apparirà con una ballata, un pop più delicato o un trap più melodico.
Ad esempio, ora stiamo pensando di fare una canzone con ritmi di cuarteto cordobés.
In ogni brano ci incontriamo in un punto comune che a volte si avvicina di più alle influenze dell’uno o dell’altro, e non ci importa tanto verso dove andrà quel suono, ma che sia genuino e che nasca da noi.
Come vi piacerebbe che evolvesse il vostro progetto artistico nei prossimi anni, sia in Spagna che a livello internazionale?
Nel breve termine, pubblicare il nostro nuovo disco, di cui “Ella tiene el Don” fa parte, all’inizio del prossimo anno. Più avanti ci piacerebbe avere l’opportunità di suonare in quante più città possibili, in Spagna, in Italia e in qualsiasi altro Paese in cui ci sia gente che si identifichi con la nostra musica.
Se doveste scegliere un’immagine concreta, una scena, che riassuma lo spirito di “Ella tiene el don”, quale sarebbe?
La scena che meglio rappresenta lo spirito di “Ella tiene el don” è quando sei in un chiringuito sulla spiaggia e, tra tutta la gente, noti una persona che balla e all’improvviso esiste solo lei.
Quella sensazione in cui perdi persino il filo della conversazione che stavi avendo, come un palcoscenico al buio in cui l’unico riflettore illumina quella persona.
Come quando Jack vede per la prima volta Rose in Titanic.