Kiave: la musica è ricerca

Se si parla di Kiave si parla di Hip Hop. Quattro album, cinque ep, ultimo ”Stereokillng” di cui abbiamo parlato anche mesi fa, grazie all’originale iniziativa di Stereo Art Week. Tutto proudly indipendet, al fianco di Macro Beats.
Kiave è calabrese, rappresenta la sua terra ovunque e lo fa con la musica da 15 anni. Celebre per le sue grandi doti in freestyle, è un enciclopedia vivente, soprattutto se si parla di hiphop, come dimostrato al TED (clicca qui).
Abbiamo deciso quindi di intervistarlo, per analizzare la musica italiana oggi, e non solo.

artwork: Stefano Kermit

In Italia lo stereotipo del rapper pappone o scemo del villaggio non è stato ancora sdoganato per il grande pubblico. In radio continuano ad essere trasmessi brani orecchiabili, ma soprattutto con argomenti banali, insomma canzonette. Come mai?
La similitudine concreta è la radio. C’è gente che ascolta la musica in radio e altra che se la cerca, la compra e la supporta. Se fai musica underground non puoi pretendere di arrivare a tutti. L’underground presuppone una ricerca, nel momento in cui c’è la ricerca c’è Kiave.
Considera che per l’80% delle persone la musica è un sottofondo da mettere in radio, scelgono per te e tu ascolti passivamente quello che ti danno e ti propinano.

In passato il grande pubblico italiano ha apprezzato musica di qualità. I cantautori sono stati i pilastri di un’epoca. Negli ultimi 20 anni però c’è stato un regresso, la musica fast food ha conquistato radio, classifiche e tv. Come te lo spieghi?
Perché c’è tanta quantità. Essendoci il web c’è tanta quantità. Il web però ti aiuta tanto, un artista come me ci guadagna molto a stare lì. Dall’altra parte però succede che con il web la gente è convinta di avere l’onniscienza a portata di click, quindi non legge più, non si informa, non cerca. A quei tempi si stava peggio e quando si sta peggio c’è più bisogno di musica che parli di emozioni e di rivoluzione. Inoltre la musica era più filtrata,  c’era molto più controllo qualitativo. Il discografico prima di investire rifletteva e doveva prendere il talento che sbalordiva. Ora con internet siamo tutti talenti, il primo che ti fa 3 milioni di views con una stupidaggine viene preso. Anche gli investimenti sono cambiati, prima i dischi si vedevano, più grosso era l’investimento più grosso era il talento, ora un disco lo fai con poco.
L’underground rimane sempre però, io sono 10 anni che faccio musica, ci sono stati momenti altissimi altri bassi.
La musica ora ha un valore marginale perchè si è convinti di averla sempre a portata di mano. Quando ero piccolo non c’era internet e quel disco al mese che riuscivo a reperire lo consumavo. Ora anche io me li ascolto tutti poi decido cosa andare ad approfondire, ma oggi la gente non vuole vivere un disco, ne vuole parlare.

Con Stereo Art Week hai connesso arte e musica. Come nasce l’idea? 
Sono innanzitutto appassionato di writing, di street art, poi molti ragazzi mi hanno sempre inviato grafiche e quindi ho deciso di provare a dargli visibilità. Mi aspettavo più risonanza, ma comunque è andata bene. Molti hanno trovato lavori tramite l’iniziativa. Io poi volevo dare delle immagini alle parole. Stereokilling è un prodotto che è uscito, per il momento, solo in digitale e quindi volevo dargli una connotazione più concreta.

Come mai queste iniziative nascono da artisti indipendenti e mai da artisti più famosi, con più audience?
Perché chi ha tanta visibilità si dimentica del potere educativo della musica, ha altro a cui pensare. Se non puoi prendere la metropolitana perchè le ragazzine ti assalgono non è più hiphop, perchè l’hiphop non deve mai dimenticarsi la strada. Io non vorrei mai non poter prendere la metro; anche a me mi fermano, ma io ci parlo con la gente, altrimenti poi che dico nei testi?
Io posso permettermi di poter pensare, di poter dedicare tempo all’arte e la mia arte all’arte stessa. Se uno deve pensare alla televisione, i vestiti, i soldout se ne frega dell’arte. C’è sempre la differenza fra la pasta balilla, sempre quella, sempre uguale, che è anche una garanzia; e la pasta che fa la nonna. Noi facciamo pasta fatta in casa, a volte viene bene, altre una bomba e a volte meno bene.

Qual è la tua opinione sulle nuove sonorità dell’hip hop/rap? Artisti come Drake ad esempio sono hiphop?
Il rap è un genere e l’hiphop è una cultura. É giusto che il suono si evolva, spesso accade però che ritornino sonorità vecchie, e la gente pensa non si tratti di hiphop. Il problema è non il suono o la matrice, ma lo spirito con cui ti approcci ai contenuti e alla comunicazione e quel minimo di strada e vita vera che se si perde allora non è più hiphop. Drake mi piace, a volte ci manca quel testosterone da strada, ma comunque è uno che davanti al microfono è fortissimo. Mi piace quando magari c’è un occhio di riguardo verso lo stile, la metrica. L’autotune ha un po’ omologato le cose, ma c’è gente che lo usa in modo creativo e allora perchè no? Va benissimo.

Daniele Carrano
Daniele Carrano
Scrivo per il piacere di confrontarmi con gli altri. Co-fondatore di Escape Vision.

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