Questo mese su Netflix è uscita la seconda stagione di Nuova Scena. Il cast resta quello della scorsa stagione: Fabri Fibra; Geolier; Rose Villain. Tre nomi che, a modo proprio, portano con sé un certo tipo di legittimità. Soprattutto Fibra, che -diciamocelo- ha ancora l’aura da padre artistico della scena mainstream italiana, colui che può permettersi di dire“questo sì, questo no”.
Il format, nella sua struttura, è quello di un talent show — ma con le vibes da reality. Ci sono le eliminazioni, le battle, la tensione. Ma – ed è qui che si discosta da MTV Spit – ci sono i sentimenti. Mentre nella gabbia installata su canale 8 non ci dicevano nulla dei genitori di Shade o della (ipotetica) brutta infanzia di Nerone, qui si entra con la classica intro alla Mediaset. Musica di sottofondo, primi piani, confessionali.
Mo vi dovete scannare
In questa seconda stagione, gli autori hanno raddrizzato di molto il tiro rispetto alla precedente, (la scena di Spender che urla dentro al bagno con le riprese in movimento e la musica tragica in sottofondo sono lo Scary Movie di chiunque non si accontenti del digitale).
Ma tornando a noi, dicevamo, niente gabbia. Ma a differenza di quanto si possa intuire, non sono qui per parlare male di questo programma. O almeno non solo. Mtv Spit (che ci sembra durato 10 anni, e che invece ha solo 3 stagioni), aveva in palio 5.000 euro. Nuova Scena ne swagga 100.000.
Dal 2012 – anno della prima stagione di Spit – (per contestualizzare, nel 2017 esce Gelato della Dark) ad oggi, il mercato del rap (e in generale dell’Hip Hop) è diventato immenso, imponendosi come cultura dominante. Questo significa più soldi, il che significa più aspiranti rapper.
L’ansia del rapper è sempre dietro l’angolo
Il rapper per antonomasia, o per stereotipo -poco importa- è arrabbiato, spietato e competitivo. E anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a un tentativo (fallito) di renderlo più borghese, più istituzionale, più family friendly, l’archetipo resiste. Quando pensi al rapper italiano medio, non ti viene in mente Caparezza, ma Guè. Questo non significa che non esista tutta una filosofia rap diversa, ma appunto non è la narrazione ufficiale, ça va sans dire.
In questo senso, un reality-talent come Nuova Scena è il palcoscenico perfetto per rappresentare l’ampliamento del mercato, ma anche -per essere più romantici-l’ampliamento della cultura. Interessante nella prima stagione, durante le battle, la -non sfida- tra città/ identità sessuali diverse, volte a tutelare inciampi prevedibili la cui politica diNetflix come ben sappiamo, è molto attenta. Nuova Scena si differenzia dagli altri talent musicali anche perché il rapper è (di solito) autore dei propri testi, difficilmente fa cover.
Inoltre il format del reality si sposa benissimo con la cultura hip-hop in quanto il rap racconta la sopravvivenza, e il reality è – per certi versi – una rappresentazione darwiniana perfetta per questo tipo di narrazione.
Il macellaio ha affettato
Moltissimi artisti che era consideriamo ‘old school’ o come direbbe Guè “true school” sono usciti da Spit (basti pensare a Clementino, Ensi, Nitro) nel periodo in cui il rap aveva già l’ambizione di diventare mainstream. Solo che nascondeva quella parte di feelings, citati prima, che da una parte riflettono una sorta di magia -quell’illusione di sentire e conoscere le persone che vediamo sullo schermo- dall’altra rappresentano un fetish tipico della nostra generazione: umanizzare i propri idoli. Oggi, vogliamo sapere tutto, conoscere i nostri idoli fino in fondo. Renderli fragili.
Sentire vicino chi ci piace, perché il rap è storia vissuta, e se tu quella storia non l’hai vissuta, come minimo ti vuoi sentire vicino a chi la racconta. Perché se non puoi dire “quella storia è anche la mia”, allora almeno vuoi poterti dire “quella storia la capisco.
Questo cambia tutto. Perché il racconto diventa identità. E la narrazione dell’identità, oggi, è anche esposizione. Da un punto di vista meramente rappresentativo invece salta subito all’occhio la differenza tra l’omogeneità dei concorrenti di Spit e l’eterogeneità di quelli di Nuova Scena, direttamente proporzionale al riflesso della società.
Tra i due litiganti, il rap gode
La critica è vecchia: “quando il rap va in televisione, muore”. Perde l’attitudine, diventa gentile, si mette in posa. Il punto però non è che il rap sia in tv. Il punto è che la tv – oggi – è ovunque. È nello smartphone, nei reel, nei format di TikTok. Quindi sì, il rischio c’è. Ma non è la televisione in sé. È il formato.
La prima stagione di Nuova Scena aveva l’effetto sorpresa. Era nuova, sembrava ancora un po’ sperimentale. La seconda è più consapevole, più levigata, più netta. La domanda diventa: quanto durerà questa freschezza prima di diventare un copione?
Quante volte possiamo guardare lo stesso loop: presentazione emotiva → storia toccante → barra liberatoria → abbracci dietro le quinte?
Il rischio è sempre quello: che tutto sia standardizzato. Che anche la rabbia diventi pre-prodotta e che la verità venga montata con la colonna sonora in sottofondo.
Nuova Scena diventa un X Factor con le Jordan, sua mutazione naturale, considerando che provengono entrambe dalla stessa casa di produzione.
Tutto questo ambientato in un panorama in cui il dubbio amletico delle major discografiche resta intatto:essere o far finta di essere?